“L’attività sportiva è stata trascurata completamente nel Secondo Dopoguerra. Ai tempi del fascismo c’era grande attenzione alla cura del corpo, lo sport era importante nelle scuole. Caduta la dittatura, per reazione l’attività sportiva è stata cancellata dagli istituti scolastici”, queste parole Alberto Cirio le ha pronunciate lo scorso 10 settembre a Vicolungo (No).
Quelle frasi scatenarono subito la reazione dei politici di centro sinistra, che, non avendo mai aperto un libro di storia, ritenevano inaccettabili le parole del governatore.
Le frasi di Cirio sono state commentate da Marco Grimaldi, consigliere regionale della sinistra radicale, da Nicola Fratoianni di Leu, che hanno fortemente criticato le legittime opinioni espresse dal governatore.
Esilaranti le dichiarazioni rese da Filippo Sensi, sconosciuto parlamentare del Pd, che vale la pena riportare perché sono un manifesto della “qualità” dialettica di cui è capace l’antifascismo nel XXI secolo: “Vedo che il presidente della Regione Piemonte ha nostalgia della cura per il corpo che aveva il regime fascista. Temo che si riferisse alle cure a base di manganello e di olio di ricino agli oppositori che difendevano la democrazia e la libertà”.
Che durante il fascismo vi fosse una particolare attenzione nei confronti dell’attività fisica e sportiva, che infatti veniva promossa in ambito scolastico ed extra scolastico, è un fatto così noto che forse persino il sussidiario, il libro che si studiava alle elementari, ne parlava e che forse Sensi non ha mai preso in mano.
Forse quello che è meno noto è che prima del fascismo in Italia mancava una vera e propria “cultura” dello sport.
Mentre nei paesi anglosassoni e della mitteleuropa l’attività fisica veniva praticata negli istituti scolastici da almeno cento anni, in Italia le polisportive, le squadre di calcio, i centri di atletica, etc. erano pochissimi e spesso appannaggio di circoli della nobiltà o dell’alta borghesia.
Il fascismo, nel tentativo di plasmare il suo “uomo nuovo”, promosse l’attività sportiva tra i giovani e la sua diffusione tra la popolazione nel tentativo di rendere lo sport da attività per pochi, per la elitè, ad attività di massa. Obiettivo che centrò in pieno.
Infine, cosa di non secondaria importanza, con grande anticipo anche rispetto al mondo anglosassone, il fascismo aprì lo sport alle donne, che fino ad allora Italia (così come nel resto del mondo) erano state escluse da ogni attività fisica. Una vera e propria rivoluzione dei costumi, destinata a cambiare per sempre la storia delle attività ricreative in Italia.
E’ bastato che il presidente della Regione Piemonte pronunciasse parole ovvie, per scatenare la reazione dell’antifascismo “di maniera”, grottesco e macchiettistico che ormai caratterizza la sinistra italiana in totale crisi di identità (e consensi).
Non stupisce, quindi, il riflesso condizionato dei politici del Pd, di Leu e delle altre sigle minori in cui si (dis)articola la sinistra (da quella radicale a quella liberal) italiana.
Quello che stupisce è stata, ancora una volta la contro-reazione di Cirio e del centro-destra:
“Io nostalgico del fascismo? – precisava Cirio – Voi dimenticate che chi è albese come me ha l’antifascismo nel Dna. Ho semplicemente provato a ricostruire storicamente perché in Italia non si insegni più ginnastica”
Il presidente ha voluto subito mostrare la sua patente di antifascismo, nella vana speranza di “tranquillizzare” i suoi avversari.
Bisogna purtroppo prendere atto che una parte del centro-destra continua a non essere in grado di capire che stanno continuando a legittimare la sinistra ad esercitare il ruolo di custode dei valori civici della Repubblica.