A Torino, in via Carlo Alberto, una lapide datata 15 ottobre 1944 ricorda i giorni trascorsi nel capoluogo piemontese dal grande filosofo Friedrich Wilhelm Nietzsche.
Si trattò di un periodo breve ma intenso, nel corso del quale videro la luce opere come “Il caso Wagner”, “Crepuscolo degli idoli”, “L’anticristo”, “Ecce Homo”, “Nietzsche contra Wagner” e i “Ditirambi di Dioniso”.
Nietzsche e la vita tormentata
Il soggiorno torinese rappresentò infatti un momento di relativa serenità nella vita tormentata del filosofo. Che trascorse gli ultimi anni della sua vita in una condizione di progressivo decadimento fisico e mentale.
A soli 34 anni, a causa del peggiorare delle emicranie che lo tormentavano, Nietzsche abbandonò la cattedra di lingua e letteratura greca all’università di Basilea. Dedicandosi con maggiore intensità alla scrittura e ai viaggi. Trascorse i periodi estivi in località montane e termali della Svizzera. I periodi freddi nelle città italiane della riviera ligure, visitando anche Venezia e Nizza.
Proprio dopo un soggiorno a Nizza, il filosofo visitò per la prima volta Torino nell’aprile 1888 rimanendone subito affascinato. Prese in affitto per 30 lire al mese una stanza (definita in una lettera scritta qualche mese più tardi “una piccola camera da studente che si trova di fronte al palazzo Carignano”) al quarto piano di via Carlo Alberto, al numero civico 6, nel centro cittadino. I padroni di casa erano i coniugi Fino, Davide e Candida. Proprietari dell’edicola di piazza Carlo Alberto, che misero a disposizione del nuovo inquilino anche il pianoforte.
Nietzsche e gli affittuari di Torino
In un articolo apparso sul periodico “Nuova Antologia” il 16 settembre 1900, è riportata la testimonianza dei padroni di casa. “Il loro ospite aveva l’aspetto serio. Era gentilissimo di modi con tutta la famiglia e specialmente colla piccola Irene che già sin d’allora coltivava con successo la musica. Di cui Nietzsche era appassionatissimo. Il “professore”, come lo chiamavano in casa, faceva una vita regolare di uomo studioso. Alcune volte pregava l’Irene di suonargli del Wagner, solo del Wagner. Altre volte sedeva egli stesso al pianoforte, suonando lungamente a memoria del Wagner”.
Nietzsche su Torino
Il capoluogo piemontese piacque molto a Nietzsche, come dimostra chiaramente una lettera scritta il 7 aprile 1888 all’amico e compositore Peter Gast. “Ma che dignitosa, severa città! Niente metropoli, niente moderno, com’io temevo: una «Residenz» del Seicento, dove un unico gusto ha imperato su tutto, quello della Corte e della noblesse. La quiete aristocratica è impressa su ogni cosa: non meschini sobborghi. Un gusto unitario che si estende fin al colore (tutta la città è gialla e color d’ocra). E per i piedi come per gli occhi un luogo classico! Che sicurezza, che pavimentazione, a non dir niente degli omnibus e dei tram, organizzati e numerosi in modo straordinario. […] Ma che piazze austere, solenni! E lo stile dei palazzi senza pretese, le strade serie e pulite. Tutto molto più dignitoso di quanto mi fossi aspettato. I più bei caffè che io abbia mai visto. Quei «portici» poi, dato il clima variabile, rispondono ad una necessità. Inoltre sono ampi e alti e non opprimono. E la sera il tramonto dai ponti sul Po è cosa stupenda! Al di là del bene e del male”.
Questo primo soggiorno durò esattamente due mesi, dal 5 aprile al 5 giugno, poi Nietzsche lasciò Torino per la Svizzera. Tornando però in Piemonte nella seconda metà di settembre del 1888.
Il ritorno a Torino
La città subalpina manteneva, per il filosofo tedesco, tutto il suo fascino. Come testimoniano le numerose lettere scritte alla madre e ad alcuni amici. Nietzsche loda il clima torinese (“Spero che anche da te adesso ci sia un autunno così magnifico e pieno di sole”). La musica (“Dopo tutto mi sembra che Torino anche in fatto di musica, come per tutto il resto, sia la città più affidabile che io conosca”). Ma anche la cucina locale (“mangio in una delle prime trattorie, con due enormi piani di sale e salette. Per ogni pasto pago 1 franco e 25 mancia compresa. E ricevo le cose più prelibate preparate nel modo più ricercato. Prima non avevo idea di che cosa potessero essere la carne o la verdura, oppure tutti questi tipici piatti italiani. Oggi, ad esempio, i più delicati ossobuchi, lo sa Iddio come si dice in tedesco, la carne attorno all’osso, in cui si trova lo squisito midollo! Accompagnati da broccoli preparati in maniera incredibile…”).
Anche la salute di Nietzsche migliorò in questo periodo, consentendogli di lavorare con regolarità senza essere oppresso dalle solite emicranie. Come scriveva il 6 dicembre 1888 a Emily Fynn, “in queste circostanze il mio stato di salute ha avuto un miglioramento addirittura prodigioso. Qui passo attraverso la vita con un tale lieto orgoglio che Lei non riconoscerebbe né la tana né l’orso che vi abitava”.
Il crollo di Nietzsche
Tuttavia, sul finire dell’anno, la situazione peggiorò rapidamente e presero a manifestarsi in modo sempre più evidente i segni della malattia che aveva già colpito suo nonno e suo padre. I coniugi Fino cominciarono a trovare nel cestino della carta straccia banconote fatte a pezzi. Mentre il filosofo si dichiarava l’incarnazione di celebri personaggi dell’epoca o si identificava con i protagonisti della cronaca locale.
Il crollo definitivo si verificò ai primi di gennaio del 1889, anche se il famoso episodio del cavallo è probabilmente una sorta di leggenda metropolitana. Si racconta che il 3 gennaio del nuovo anno Nietzsche, mentre si trovava in piazza Carignano, aggredì un vetturino che stava frustando il suo cavallo. Arrivando al punto di abbracciare l’animale e baciarlo per poi cadere a terra urlando di essere il nuovo Dioniso.
L’episodio del cavallo: molti dubbi in merito
La veridicità dell’episodio è stata messa in discussione da diversi studiosi. I quali evidenziano come l’episodio abbia come unica fonte un articolo apparso anni dopo. E, oltretutto, ricordi in maniera decisamente sospetta la scena, descritta da Dostoievski in “Delitto e castigo”, di Raskolnikov che sogna un povero cavallo frustato dal suo padrone. Più probabilmente, il filosofo apostrofò in modo veemente il vetturino attirando l’attenzione della polizia municipale. Che lo ammonì per il suo comportamento, giudicato eccesivo.
Qualunque sia la verità rimane il fatto che Nietzsche, a partire dai primi di gennaio del 1889, ebbe un evidente crollo mentale. Cominciò a scrivere i famosi “Biglietti della follia”. Una serie di lettere inviate a conoscenti e ad importanti personalità dell’epoca dal contenuto paradossale. In una di esse, spedita al Re d’Italia Umberto I, il filosofo scriveva “al mio amato figlio Umberto. La mia pace sia con te! Martedì verrò a Roma e voglio vederti insieme a Sua Santità il Papa”.
Quando lo storico Jacob Burckhardt ricevette una di queste missive (“Domani viene il mio figlio Umberto con la graziosa Margherita, che qui, però, riceverò ugualmente in maniche di camicia. Ho fatto mettere in catene Caifa…”) si rese conto che era successo qualcosa di grave. E si rivolse a Franz Camille Overbeck, teologo protestante e amico di Nietzsche, che si mise immediatamente in viaggio per Torino.
Le condizioni mentali del filosofo tedesco erano evidentemente compromesse e fu necessario organizzare il suo ricovero in una clinica per malattie mentali a Basilea. Seguirono poi altri ricoveri fino alla morte, avvenuta a Weimar il 25 agosto 1900. Assistito dalla sorella Elisabeth.