Il recente processo contro Matteo Salvini per la gestione della nave Open Arms appare come uno dei più evidenti esempi di strumentalizzazione del sistema giudiziario italiano per finalità politiche. L’ex ministro, accusato di sequestro di persona per aver bloccato lo sbarco dei migranti nel 2019, è stato sottoposto a un procedimento giudiziario che ha evidenziato le criticità del rapporto tra giustizia e politica nel nostro Paese.

La giustizia come strumento politico

Questa dinamica, purtroppo, non è nuova nella storia politica italiana. Quando la sinistra non riesce a imporsi democraticamente alle urne – un fenomeno evidente considerando le sconfitte elettorali degli ultimi anni – si cerca di delegittimare e indebolire l’avversario attraverso trame giudiziarie. Lo abbiamo visto con Silvio Berlusconi, sottoposto a una lunga stagione di accanimento giudiziario, e lo vediamo oggi con Matteo Salvini.

Le implicazioni per la democrazia

Dobbiamo riflettere su cosa avrebbe significato una condanna per Salvini. Se un ministro viene perseguito penalmente per decisioni politiche prese nell’ambito delle sue funzioni, chiunque ricopra un ruolo istituzionale potrebbe trovarsi sotto la minaccia costante di un processo. Questo non sarebbe solo un attacco a un singolo leader, ma un pericoloso precedente che potrebbe paralizzare l’azione di governo, rendendo ogni decisione subordinata alla paura di un’inchiesta.

Il problema dell’equità giudiziaria

La domanda più inquietante rimane: perché Matteo Salvini è stato l’unico a finire sotto processo? La decisione di chiudere i porti e bloccare gli sbarchi non è stata una scelta personale di Salvini, ma una linea politica condivisa dal governo di allora. Perché non sono stati chiamati a rispondere anche Giuseppe Conte e Danilo Toninelli, rispettivamente Presidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture al tempo dei fatti? Entrambi avevano ruoli di primo piano e responsabilità dirette in quelle stesse decisioni.

La selettività con cui è stata portata avanti questa vicenda evidenzia un grave problema di equità e imparzialità. Se la giustizia viene applicata solo contro alcuni e risparmia altri, non siamo più davanti a uno stato di diritto, ma a un uso strumentale delle istituzioni giudiziarie per finalità politiche.

Il caso Open Arms rappresenta un segnale d’allarme per tutti, indipendentemente dall’appartenenza politica

Se consentiamo che un leader venga processato per scelte politiche legittime, stiamo aprendo la porta a una deriva che potrebbe colpire chiunque in futuro. La democrazia si fonda sul confronto elettorale e sul rispetto delle regole, non sull’eliminazione dell’avversario per via giudiziaria.

Il vero giudizio politico spetta agli elettori, non ai tribunali. È tempo che il nostro Paese faccia i conti con questa deriva e si impegni a tutelare il principio cardine della democrazia: la sovranità popolare.

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