Mercoledì 8 luglio 1896 nasceva a Piverone, comune di circa millecinquecento anime della provincia di Torino al confine con il biellese, Neftali Ollearo.
Il singolare nome di battesimo del bambino era dovuto al fatto che la famiglia faceva parte della Chiesa Evangelica. Il padre aveva deciso di chiamare il figlio, sulla base di una reminiscenza biblica, come il sesto figlio di Giacobbe e di Bala. Capostipite della tribù omonima.

La storia di Neftali Ollearo

Il padre era mezzadro della famiglia Olivetti, ma il piccolo Neftali era affascinato dalla meccanica e non dimostrava nessun interesse per il lavoro dei campi. Per fortuna, il padre comprese ben presto che sarebbe stato inutile insistere. Il figlio era destinato a percorrere una strada diversa da quella della famiglia: ebbe perciò un colloquio con l’ingegnere Camillo Olivetti e Neftali entrò in fabbrica come operaio meccanico.

Iniziata la Prima Guerra Mondiale, il giovane fu arruolato con la qualifica di tecnico addetto ai compressori utilizzati per scavare le nicchie per le mine. Ma le ferite riportate in seguito ad un’esplosione gli procurarono il congedo anticipato.
Tornato a casa, dopo la convalescenza riprese il lavoro ma nel 1920. Sposatosi con Ester Marzone si trasferì a Torino, in quello che adesso è corso Dante, dove aprì un laboratorio per la manutenzione di biciclette e motociclette.

La “bicicletta con motore”

Ben presto lo raggiunse il fratello minore Marco, nato nel 1901, e i due si dedicarono con passione all’attività. La semplice manutenzione non bastava però a soddisfare le ambizioni dei due fratelli. Che cominciarono a dedicare il tempo lasciato libero dal lavoro quotidiano alla progettazione e costruzione di un motore a scoppio a due tempi con una cilindrata di 132 cc. Con testa in ghisa e cambio in presa continua. Che fu montato su un telaio da bicicletta opportunamente modificato: la bicicletta a motore così ottenuta fu esposta, nell’inverno 1922/23, al Salone delle Belle Arti di Torino. Ottenendo numerosi consensi tanto dal punto vista estetico quanto dal punto di vista delle soluzioni meccaniche.

Nel 1924 entrò in produzione la “Modello Lady, un veicolo la cui produzione terminò solo nel 1946 e che si rivolgeva ad una ben precisa clientela: il pubblico femminile. E, soprattutto, gli ecclesiastici: come recitava un pieghevole pubblicitario dell’epoca, destinatari privilegiati del veicolo erano “i parroci dei comuni rurali”. I quali “hanno oggi bisogno di un mezzo di trasporto rapido non meno che i medici condotti… L’elevatissima funzione del loro ministero non li dispensa, ma anzi li sospinge verso la necessità di moltiplicare la loro presenza in luoghi diversi. Con quella ragionevole sollecitudine che valga a tesorizzare la loro attività”.

Il modello Lady

Si trattava di una bicicletta a motore con telaio da donna dotata di serbatoio verticale e due ampi paragambe, destinati ad evitare poco opportuni svolazzi di gonne o tonache. Come recitava la pubblicità sopra citata, il motore “avendo la rilevante potenza di 3 HP permette di scalare agevolmente qualsiasi più impervia salita. Sia al passo d’uomo come a notevole velocità… Il cambio è a tre velocità con frizione e avviamento da fermo. Quindi nessuna rincorsa per partire, ma installazione in sella con motore spento. Le ruote sono smontabili e munite di un potentissimo freno ciascuna. Sono gommate con pneumatici ballon Hutchinson 25×3 a bassa pressione, che danno un comfort di marcia meraviglioso.”

I consumi erano decisamente ridotti, considerato che un litro di miscela garantiva la percorrenza di 50 chilometri.
Nello stesso anno l’attività fu trasferita in via Mezzenile al civico 13, in uno stabile utilizzato anche come abitazione per la famiglia.

Nel 1927 ci fu il salto di qualità

Dall’officina uscì il nuovo modello di moto leggera 175 c.c. “Tipo 2” con testa in bronzo. Mentre i diversi modelli prodotti ottenevano buoni piazzamenti nelle competizioni sportive alla guida di Giovanni Spina e Marco Ollearo.
Nel 1930 fu presentata al Salone Internazionale del Ciclo e Motociclo la “Tipo 4” con motore da 175 c.c. e cambio a 4 rapporti: la velocità massima era di 90 km/h e il consumo di 2 litri ogni 100 chilometri. Il mezzo, secondo le leggi dell’epoca, poteva circolare senza necessità di patente né di targa. Come ben mettevano in evidenza i volantini pubblicitari. Punto dolente il prezzo, tutt’altro che popolare per via della produzione praticamente artigianale: 5.800 lire.

L’evoluzione successiva del modello fu nel marzo 1931 il “Tipo Sirena”, che la pubblicità definiva “la nuova velocissima 350 cm”. Con una velocità massima di 105 km/h e un consumo di 3 litri ogni 100 chilometri. Più elevato il prezzo, ovviamente, che raggiungeva le 7.800 lire.

Nel 1933 fu invece la volta della “500 Perla” con motore più potente, velocità di 120 km/h e un consumo di 4 litri per 100 chilometri. Mentre nel 1934 faceva la sua comparsa un veicolo a tre ruote con lo stesso motore da 500 c.c. Si trattava di una motovetturetta per il trasporto di persone con carrozzeria di tipo “Torpedo” allestita dalla ditta Parri di Torino. Perfezionata l’anno successivo con l’aggiunta di un finto cofano e finti parafanghi anteriori che la rendevano molto simile ad una vera automobile a quattro ruote. Il mezzo non ottenne però il successo sperato, soprattutto a causa della concorrenza da parte della FIAT 500 (la famosa “Topolino”). Messa in vendita dal giugno 1936 a prezzi competitivi.

I furgoni nati dalle 500

Nel tentativo di conquistare nuovi spazi di mercato, nel 1938 la fabbrica Ollearo iniziò a commercializzare furgoni. Derivati dalla trasformazione delle FIAT 500 e, nel 1946, delle FIAT 1100 ELR.
La situazione economica della ditta si era aggravata durante i difficili anni di guerra, e Neftali aveva tentato di organizzare manifestazoni sportive che potessero favorire in qualche modo la conoscenza e la vendita dei veicoli da lui realizzati. Purtroppo furono commessi diversi errori e, nel 1953, anche il destino si mise di traverso. Il 23 maggio di quell’anno un vero e proprio tornado distrusse le tribune e gli steccati che Neftali aveva fatto innalzare in Piazza d’Armi a Torino per l’organizzazione di una manifestazione motoristica. Provocandogli un danno economico dal quale non si riprese più. Il numero degli operai si era ormai ridotto da quindici a due soltanto, e il 28 ottobre del 1957 il Tribunale di Torino, su istanza dello stesso Neftali, dichiarò il fallimento del geniale costruttore. Come certificato dal liquidatore, il passivo ammontava a 20 milioni di lire contro un attivo di appena 8 milioni e 500mila lire.

L’avventura, iniziata più di trent’anni prima, era terminata nel peggiore dei modi. Nel 1962 Neftali perdeva la vita in un incidente automobilistico mentre si recava a Milano.

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