10 gennaio 49 a.C.: era la mattina di un freddo inverno quando Cesare, raggiunte le sue coorti e dopo aver riflettuto sul da farsi e su quelle che sarebbero state le conseguenze di varcare in armi il pomerium, attraversò il Rubicone a poca distanza da Rimini, la romana Ariminum.
Il Rubicone era il pomerium, ovvero un confine sacro che separava Roma dal resto del mondo. E, quindi invalicabile e soprattutto una zona franca assoluta da ogni tipo di violenza.
In principio il pomerium era quella linea tracciata coi buoi da Romolo e Remo che poi, secondo tradizione, coinciderà con le cosiddette Mura di Servio Tullio: nel periodo delle guerre civili includeva invece tutta quella parte della penisola italica posta a sud dei fiumi Magra e Rubicone.
Cesare varca il Rubicone in armi e con l’esercito
La sempre maggiore popolarità di Cesare, dopo le vittorie riportate in Gallia e la morte nel 53 del triumviro Crasso, fecero sì che il senato, alla fine del 50 a.C. (sotto la spinta di Pompeo – storico avversario di Cesare), richiamasse il condottiero a Roma con l’ordine di sciogliere l’esercito.
Lo scontro in Senato era tra gli optimates – conservatori e guidati da Gneo Pompeo Magno e i populares, molto più attenti alle richieste delle fasce più deboli dell’Urbe e più legati a Cesare.
Tornare a Roma senza l’esercito sarebbe significato la morte per Caio Giulio Cesare o, almeno, una grande sconfitta: fu così che Cesare, inizialmente con la Legio XIII (una delle più legate a lui), dopo il tentativo di venire a capo con “le buone” e non ricevendo mai risposte da Roma, decise di attraversare il fiume. Cambiando con quel gesto, di fatto, le sorti della storia. Oltrepassare quel confine con l’esercito poteva avere conseguenze inaspettate.
All’interno del pomerium vigeva il comando civile di pace dei consoli e a loro non era lecito condannare a morte senza un giusto processo. Ma potevano essere inflitte pene corporali. All’esterno vigeva invece l’imperium militiae di coloro che comandavano le legioni o i governatori delle province.
Una volta varcato il pomerium, gli stessi littori dovevano rimuovere la scure dal fascio littorio: era vietato infatti entrare con qualunque tipo di arma nell’Urbe.
Alea iacta est
Una delle più famose frasi latine che conosciamo, una frase attribuita a Cesare da Svetonio, ripresa da Asinio Pollione.
I classici, in primis Plutarco nelle sue Vite Parallele, riporta che Cesare pronunciò in greco le parole “sia lanciato il dado”, una sorta di odierno “e che Dio ce la mandi buona”.
È per questo che la tesi ad oggi più accreditata è quella che abbatte il mito e riporta la locuzione nella forma di Plutarco in latino “iacta alea esto”, “si getti il dado”.
Un gesto che cambia le sorti del mondo
Pompeo, a quel punto, sceglie la fuga verso Brindisi. Roma resta quindi senza un capo e Cesare riesce, in maniera alquanto semplice, ad ottenere il potere e accentrarlo nelle sue mani. Il popolo di Roma necessitava di una figura stabile al governo di un così potente impero e lo acclamò.
Con il suo gesto Gaio Giulio Cesare, il 10 Gennaio 49 a.C., cambiò definitivamente le sorti del mondo: Alea iacta est.