Era il 28 Aprile 1945, a Rovetta, in un paesino in Lombardia nella provincia di Bergamo. Dove si compì una strage di 43 militi fascisti appartenenti alla 1ª Divisione d’Assalto “M” della Legione Tagliamento della Repubblica Sociale Italiana.

Durante un presidio, un gruppo di fascisti nella Cantoniera della Presolana venne a conoscenza della resa attraverso alcune comunicazioni radiofoniche. Così decisero di abbandonare il presidio per raggiungere Bergamo. Si incamminarono lungo la valle, preceduti da una bandiera bianca portata da Alessandro Franceschetti, l’albergatore presso il quale i militari erano alloggiati in precedenza.

La resa

Giunti a Rovetta, decisero di deporre le armi e di consegnarsi al Comitato di Liberazione Nazionale. L’ufficiale prese accordi con i rappresentanti del CLN locale per ricevere tutte le garanzie, essendosi consegnati come prigionieri di guerra. Il Sottotenente Panzanelli fece sottoscrivere e sottoscrisse un documento a tutela dei prigionieri a firma sua, del parroco Don Bravi membro del CLN locale, del Maggiore Pacifico ed altri.

In quel periodo i “gruppi di liberazione” si autoproclamavano e operavano in autonomia, senza rispettare l’etica militare del prigioniero. Panzanelli non era a conoscenza di questo, quindi il documento firmato non aveva alcuna valenza.

I prigionieri furono trasportati nella scuola elementare del paese, fino a nuovi ordini.
Il 28 Aprile arrivò in paese un gruppo di partigiani, che prelevarono i prigionieri per trasportarli al cimitero, con ordini di fucilazione immediata. Panzanelli tentò di fare rispettare il suo scritto, ma quel foglio fu stracciato e calpestato.

La fucilazione ed il processo

Giunti presso il cimitero vennero organizzati due plotoni d’esecuzione e 43 dei prigionieri, di età compresa dai 15 ai 22 anni, vennero fucilati.

Secondo le ricostruzioni, la responsabilità del massacro è attribuita a Paolo Poduje. Detto “il Moicano”, agente del SOE, un corpo speciale segreto britannico. Si aprì un procedimento penale nel 1946, che si concluse nel 1951 con una sentenza che stabilì di non dover procedere contro gli imputati.

Rispondi