Il Tibet, chiamato “il tetto del mondo” è una terra di agricoltori, artigianato, ma soprattutto spiritualità. Una terra di pace, che finì con le mire espansionistiche della Cina. Già il 1 ottobre 1949 Mao Ze-Dong annunciò l’intenzione di annettere alcuni territori situati all’esterno dei confini della madrepatria. Parliamo dei territori abitati dai mongoli, dagli uiguri e dai tibetani. Il 7 ottobre 1950 quarantamila soldati ebbero la meglio sulla debole resistenza tibetana, organizzata da settemila soldati mal equipaggiati. Invadere il loro territorio fu facile per l’esercito cinese. Al nuovo Dalai Lama, Tenzin Gyatso, fu raccontato che si trattava di una manovra pacifica.
Il Tibet occupato dalla Cina
In realtà Pechino trasformò il Tibet in una colonia, cambiando il suo nome in Xizang. Migliaia di cittadini cinesi si insediarono nelle terre tibetane e si avviarono provvedimenti pesanti: come la ridistribuzione delle terre e la tassazione sui monasteri. Per distruggere il culto religioso, viene anche avviata una capillare persecuzione dei monaci buddhisti. La popolazione autoctona si ribellò a quelle politiche di repressione, organizzando un movimento di resistenza conosciuto col nome di Quattro fiumi e Sei Catene di Montagne (Gushi Gangdruk). Il mondo, a esclusione dell’India, rimase a guardare senza prendere posizione.
La rivolta repressa nel sangue tibetano
Il 29 marzo 1959 l’esercito cinese represse la rivolta nel sangue. Dichiarò la fine dell’indipendenza del Tibet, costringendo il Dalai lama all’esilio. Si contarono 80.000 vittime e 300.000 profughi, che si riversarono oltre confine: la maggior parte di loro fu accolta dall’India.
La Cina avviò le riforme delle istituzioni religiose buddhiste che portarono allo spopolamento dei monasteri. Numerosi monaci furono arrestati e i luoghi saccheggiati. Le proteste contro l’occupazione cinese durano decenni. Molti monaci buddhisti si sono dati fuoco davanti ai loro monasteri, o in strada.
Dal 2009, il 28 marzo è festeggiato in Cina come il “Giorno della Liberazione degli Schiavi”. Il governo comunista parla di ‘liberazione’ per il popolo tibetano. Dalla ‘schiavitù teocratica’ imposta dal Dalai Lama.