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Dopo l'annuncio delle prossime (e ultime?) udienze per Julian Assange -il 20 e il 21 febbraio 2024 presso l’Alta Corte britannica- è esplosa una ridda di ipotesi, a partire da quelle avanzate da sua moglie Stella, sul destino finale del 52enne giornalista ed editore australiano. Incarcerato ormai da quattro anni a Londra, in attesa di essere estradato negli Usa, dove gli potrebbero comminare fino a 175 anni di carcere duro. Insomma quei due giorni di febbraio potrebbero rappresentare per Assange l’ultima occasione utile per bloccare l'estradizione: lo ha sottolineato Stella Moris su Substack, piattaforma online americana, aggiungendo: "Perciò radunatevi fuori dal tribunale alle 8.30 di entrambi i giorni. Ora o mai più". Come può essere incarcerato Assange per quasi due secoli, per aver fatto ciò che un giornalista e/o un editore responsabile dovrebbe fare, ossia rivelare crimini di guerra e altri illeciti di cui viene a conoscenza tramite testimoni spontanei? Tanto più che la stessa Corte Suprema statunitense, nel 1971, ha deliberato che è lecito rivelare segreti di Stato se è nell’interesse pubblico farlo. "Tutto ciò è possibile perché, nel 2019, l’amministrazione Trump ha voluto creare un precedente, in barba alla sentenza della Corte Suprema, proprio per poter incarcerare qualsiasi giornalista che, in qualsiasi Paese del mondo, riveli segreti 'scottanti' per l’amministrazione statunitense". Lo spiega sull'agenzia internazionale Pressenza- Patrick Boylan, già professore di Inglese per la Comunicazione Interculturale all'Università Roma Tre, laureato in California e alla Sorbona, ora condirettore del Journal of Intercultural Mediation and Communication (Cultus). Boylan inoltre ha seguito in questi anni molto da vicino le vicende del co-fondatore di WikiLeaks.  "Le maggiori associazioni nazionali e internazionali di giornalisti hanno stilato documenti che chiedono la libertà di Julian per proteggere la libertà di stampa e di espressione". Quale il suo destino, dopo la sentenza dell’Alta Corte londinese? "Sono tre le ipotesi, partendo da quella più pessimista per arrivare a quella più ottimista. La prima è l'estradizione -afferma Boylan- La richiesta di poter ricorrere contro la sentenza dell’Alta Corte dello scorso 6 giugno potrebbe essere rigettata. In tal caso, avendo esaurito tutte le possibilità di ricorso nel Regno Unito, il giornalista potrebbe essere spedito il giorno dopo negli Stati Uniti, dove l’attende un processo dall’esito già scritto". (segue) Assange potrebbe sempre ricorrere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) di Strasburgo, "facendo in tal modo scattare un articolo (il n. 39), che proibisce l’estradizione mentre il caso viene esaminato". Ma proprio "per poter togliere di mezzo la Cedu e affermare l’indipendenza britannica, il governo di Cameron e poi di Johnson hanno già da tempo preparato una legge che crea una "Carta britannica dei diritti umani", sottraendo il Regno Unito alla giurisdizione di Strasburgo. Quella legge non è ancora arrivata ai voti, tuttavia l’attuale Primo Ministro Sunak l’ha nel cassetto, come arma segreta per annullare l’art. 39 della Cedu".  Come seconda ipotesi, la richiesta di Julian di poter ricorrere contro la sentenza dell’Alta Corte dello scorso 6 giugno potrebbe essere accolta, sospendendo automaticamente l’ordinanza di estradizione. "Una vittoria solo parziale -commenta Boylan- il prigioniero rimarrebbe rinchiuso in completo isolamento in una minuscola cella, 3 metri per 2, per la durata del suo nuovo ricorso: anche per anni. E, secondo il rapporteur Onu sulla tortura Nils Melzer, l’incarcerazione prolungata in quelle condizioni – subite già da 4 anni – equivale a una forma di tortura psicologica". A quale titolo inoltre Assange rimarrebbe rinchiuso? "In Italia esiste l’istituto di 'custodia cautelare in attesa del giudizio', ma sempre con un limite temporale. Sono noti, infatti, i casi di mafiosi rilasciati dalla custodia cautelare dopo relativamente poco tempo in carcere proprio per decorrenza dei termini. Nel caso Assange -ricorda il docente- "il giudice che ha ordinato la sua carcerazione preventiva non ha fissato nessun termine: pertanto la 'giustizia' britannica potrebbe far durare all’infinito il ricorso di Julian, incarcerandolo a vita senza processo, in attesa di giudizio". 
Esiste anche una terza ipotesi, sostiene Boylan, come diversi altri sperano: il perdono presidenziale di Joe Biden, che potrebbe avvenire a gennaio, con il contestuale ritiro della richiesta Usa di estradizione e il conseguente annullamento del relativo ordine da parte dell’Alta Corte di Londra. "Biden è stato vice-presidente di Obama, il quale aveva sempre rifiutato di incriminare Assange, a causa delle conseguenze nefaste sul giornalismo investigativo e quindi sulla tenuta democratica del Paese. Finora Biden ha lasciato fare ai suoi falchi (in particolare quelli legati alla Cia) che vogliono la testa di Assange non tanto per le sue rivelazioni dei crimini di guerra Usa in Iraq e in Afghanistan, quanto per aver svelato i metodi illeciti usati per spiare indiscriminatamente tutti quanti. Assange ha mostrato la Cia per ciò che è: un organo di spionaggio non solo dei criminali, ma soprattutto dei semplici cittadini, come avviene in tutti i regimi autoritari. Questo la Cia non gliel’ha mai perdonato". Perciò, Biden non ha potuto permettere la liberazione di Assange, specie in considerazione delle elezioni dell’anno prossimo. "Farlo sarebbe inimicarsi non solo la Cia, ma anche i falchi del proprio partito, gli americani conservatori in generale e i trumpiani, i quali userebbero quel perdono come prova delle 'debolezze anti-americane' di Biden". Tuttavia Biden correrà effettivamente per la Casa Bianca nel 2024? "Molti segnali lasciano pensare che forse si ritirerà dalla competizione".  Non a caso, dunque, un raggruppamento di deputati, democratici e repubblicani, "ha introdotto il 13 dicembre una risoluzione (H. Res. 934) che chiede al governo federale di ritirare tutte le accuse contro Julian, nonché la richiesta di estradarlo. Sembra una tipica mossa di Biden: spianare la strada a un gesto controverso, ottenendo preventivamente un consenso bipartisan tra i leader democratici e repubblicani. Intanto prepariamoci a manifestare il 20 e il 21 febbraio: o a Londra davanti all’Alta Corte, o in Italia davanti alle rappresentanze diplomatiche di Regno Unito e Usa". —internazionale/esteriwebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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