(Adnkronos) – "Il maresciallo Mandolini, quando provvide a formare il verbale, era a conoscenza che i carabinieri Di Bernardo e D'Alessandro si erano resi autori del pestaggio di Stefano Cucchi nella sala Spis della Caserma CC Casilina. Sul punto la sentenza impugnata ha spiegato, in modo logico e coerente, come l'esame di attendibilità del coimputato Tedesco non possa estendersi alla considerazione del complesso di dichiarazioni rese su tutta la vicenda’’. E’ quanto si legge nelle motivazioni della sentenza con cui la Cassazione lo scorso 31 ottobre ha dichiarato prescritto il reato di falso
contestato al maresciallo Roberto Mandolini e al carabiniere Francesco Tedesco nell’ambito del caso di Stefano Cucchi. I giudici della prima sezione penale, in particolare, avevano annullato senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione la sentenza di Appello bis che aveva condannato a tre anni e sei mesi Mandolini, all'epoca dei fatti comandante della stazione Appia, e a due anni e quattro mesi Tedesco, il militare che con le sue dichiarazioni ha fatto riaprire le indagini sulla morte di Cucchi. "I ricorsi dei due imputati non sono affetti da inammissibilità, anche in ragione del fatto che le doglianze di cui si compongono non possono dirsi manifestamente infondate. Questo preliminare rilievo – spiega la Suprema Corte – comporta l'obbligo di prendere atto che il reato in contestazione, commesso il 16 ottobre 2009, è ormai estinto per prescrizione’’. "La Corte di assise di appello ha arricchito il novero dei riscontri con il richiamo alle deposizioni testimoniali del piantone Colicchio in servizio presso la Stazione CC di Tor Bella Monaca. Questi – si legge – ha riferito che al momento della presa in consegna dell'arrestato Stefano Cucchi, l'appuntato scelto Nicolardi gli consegnò un biglietto con il numero di telefono cellulare personale del maresciallo Mandolini, con l'invito ad informare direttamente e personalmente il maresciallo delle condizioni di salute dell'arrestato per l'ipotesi in cui fossero insorte complicanze. Si trattò, come argomentato in sentenza, di un accorgimento rivelatore del fatto che Mandolini sapeva della violenza patita dall'arrestato ad opera dei carabinieri in forza alla sua Stazione, proprio come dichiarato dall'imputato Tedesco’’. "Quanto all'elemento soggettivo in capo a quest'ultimo la sentenza impugnata ha parimenti correttamente e compiutamente argomentato – scrivono i supremi giudici – L'imputato Tedesco assistette al pestaggio di Stefano Cucchi, avvertì telefonicamente il superiore Mandolini, quindi, arrivato in Caserma, assistette al fatto che colleghi Di Bernardo e D'Alessandro furono chiamati ad un colloquio riservato con il maresciallo Mandolini, a cui lui rimase estraneo. Non appena il colloquio riservato ebbe termine, fu convocato dal maresciallo per la sottoscrizione del verbale di arresto. Ebbe quindi modo di leggere il verbale predisposto da Mandolini e non potette non avvedersi della mancanza dei nomi dei due colleghi che avevano con lui operato e che si erano resi responsabili dell'aggressione fisica ai danni dell'arrestato. La prova di questa consapevolezza è tratta, con logicità di rilievo, dalla ‘timida esitazione’ che l'imputato ebbe al momento in cui fu invitato alla sottoscrizione del verbale’’. "La motivazione sul punto è coerente e logica, completa e capace di dare conto della sussistenza del dolo generico – conclude la Cassazione – Il carabiniere Tedesco sottoscrisse il verbale di arresto nonostante l'incompletezza relativa ai nominativi di quanti avevano proceduto all'atto e specificamente all'assenza dei nominativi dei due colleghi che quella stessa sera si erano resi autori del pestaggio ai danni dell'arrestato’’. —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)