Una bambina di quattro anni, che vive legalmente presso il campo nomadi di Strada della Berlia a Collegno, per mesi è rimasta senza scuolabus. Per raggiungere l’asilo la distanza è di circa 3 chilometri.
Il servizio le è stato revocato dal Comune di Collegno perché non residente, nonostante sia domiciliata nel comune. Il padre ha presentato ricorso in tribunale e abbiamo intervistato l’avvocato Federico Depetris, che cura la causa.

Greta, la bambina senza scuolabus per l’asilo, vincerà la battaglia legale col comune di Collegno?

La storia di Greta, bimba rom di quattro anni costretta a farsi tre chilometri a piedi per andare a scuola perché il Comune di Collegno le ha tolto il servizio scuolabus è stata ripresa da tutte le principale testate italiane.
Oggi la storia di Greta è stata anche raccontata da Rai Due e sta iniziando a fare il giro sulle principali emittenti televisive.

Greta ha quattro anni, è nata a Torino, come suo papà, ma non ha cittadinanza italiana e non hanno la residenza a Collegno. Anzi non ha proprio la residenza da nessuna parte. Greta e i suoi famigliari sono solo autorizzati ad occupare una piazzola del campo nomadi di Strada della Berlia a Collegno.

Proprio perché non residente, alla piccola Greta è stato tolto il servizio di scuolabus e per andare a scuola deve farsi cinquanta minuti di camminata. Il papà, quindi, ha deciso di fare ricorso in Tribunale per ottenere la residenza e chiedere l’attivazione del servizio di scuolabus per la figlia.

La posizione del Sindaco di Collegno

Il Sindaco di Collegno, Francesco Casciano (Partito democratico) ha sui social fornito le sue spiegazioni “L’anno scorso abbiamo concesso il servizio di trasporto anche a questa famiglia, che a differenza delle altre non è residente, con l’impegno però che si sarebbe presto regolarizzata. Abbiamo quindi scelto un dialogo accogliente e di fiducia per un patto educante Comune-famiglia di reciproco ascolto e sostegno. Da oltre trent’anni Collegno è conosciuta come un esempio di collaborazione e integrazione con le famiglie rom. L’attenzione alla scuola è sempre stato l’elemento più efficace per i percorsi di inclusione sociale nella comunità, ispirati dalla nostra Costituzione, dove i diritti si accompagnano ai doveri.
Invito tutti a evitare strumentalizzazioni soprattutto mediatiche per una situazione che invece si può risolvere velocemente con l’assunzione di responsabilità e con l’aiuto del Comune, sempre attento alla scolarizzazione, in particolare femminile, di tutti i minori rom tramite il supporto all’iscrizione, alla mensa e alle attività integrative.
Sono ben 25 gli studenti rom che dalle materne alle superiori usufruiscono regolarmente dei nostri servizi di trasporto. Non vedo l’ora che con Greta siano 26.”

Abbiamo deciso di raggiungere telefonicamente l’avvocato Federico Depetris, legale del padre della bambina, per fargli alcune domande.

Avvocato, la piccola Greta ha diritto al servizio di scuolabus?

Sì. Io ne sono fermamente convinto. La Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989 ratificata dall’Italia impone che la normativa dei singoli Stati deve essere orientata a garantire il “superiore interesse” del minore. Un cavillo burocratico (la mancanza di residenza) non può ostacolare l’esercizio di un diritto fondamentale come quello all’istruzione e all’inclusione sociale.

Perché Collegno ha tolto il servizio di scuolabus per l’asilo alla bambina?

Perché appunto Greta, sua mamma, suo papà e suo fratellino di appena due anni, non sono formalmente residenti a Collegno. Pensi che il padre di Greta, il mio cliente, vive nel campo di Collegno dal 1998.

Il Sindaco di Collegno ha però detto che sarebbe colpa del padre della bambina che non si è mai regolarizzato.

Un cittadino comunitario, il papà di Greta è cittadino croato, per ottenere la residenza deve dimostrare di avere un lavoro oppure deve avere dei soldi liquidi sul conto corrente. Il papà di Greta si regolarizzerebbe pure, ma gli serve un lavoro oppure qualcuno che gli dia (o garantisca per lui) oltre cinquemila euro. Non trovo corretto scaricare la responsabilità sul padre. Il papà ha provato a richiedere la residenza ma la sua domanda è stata bocciata proprio perché non aveva un lavoro o i soldi sul conto corrente. Cosa poteva fare di più?

Ma quindi il Comune di Collegno ha ragione nel non concedere la residenza…

Io credo di no. E nel ricorso di circa venti pagine ho illustrato i motivi, sotto il profilo giuridico, per cui ritengo che questa famiglia abbia diritto ad ottenere la residenza.

Se però la legge impone determinati requisiti è per evitare che chiunque possa venire in Italia ed ottenere la residenza gravando sul nostro sistema di welfare.

La ratio della normativa è senza dubbio quella che mi descrive lei. Però questo è un caso del tutto peculiare. La normativa vigente è così strutturata proprio perché pensata per persone straniere, ancorché comunitarie, che intendono stabilirsi in Italia proveniendo dall’estero. Qui siamo invece dinnanzi al caso di un soggetto nato e cresciuto in Italia, membro di una minoranza etnica, che non è mai stato all’estero e che quindi è radicato in Italia ed in particolare a Collegno dove dimora dal 1998. Per un caso di questo tipo ci andrebbe una disciplina ad hoc.

Dal 15 dicembre la bambina potrà andare all’asilo a Collegno con lo scuolabus?

Io me lo auguro. Il padre si è impegnato in questa battaglia legale perché vuole garantire un futuro migliore a sua figlia. Il papà di Greta sogna di poter portare la sua famiglia a vivere fuori dal campo ed integrarsi pienamente nel nostro contesto sociale, economico e culturale. Questo impegno andrebbe apprezzato e valorizzato e quindi le istituzioni dovrebbero agevolare questo percorso. E’ nell’interesse di tutti superare i campi rom e le baraccopoli. Per farlo è necessaria la linea dura ed intransigente con chi sbaglia, chi continua a delinquere etc. ma verso chi vuole fare un percorso diverso ci deve essere comprensione ed aiuto.

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