Si sta ripartendo.

Tra mille difficoltà ed incognite, l’Italia si è messa in moto.

Tanti non arriveranno alla fine dell’anno. Molte attività presto chiuderanno i battenti sommerse dai nuovi e vecchi debiti. Probabilmente solo a partire da settembre – ottobre avremo un quadro più chiaro del dramma sociale che ci attende.

C’è da recuperare un buco nero di circa tre mesi e c’è da fare i conti con le incertezze del futuro (ad ottobre tornerà il maledetto virus?) e le paure del presente (distanziamento, mascherine, regole anti-assembramento etc.)

L’Italia impegnata in un lungo, ed a tratti interminabile, “lockdown” ha saputo affrontare l’emergenza con grande compostezza, dignità e disciplina.

Il mancato rispetto delle norme imposte dal Governo ha riguardato un numero ridottissimo di connazionali a fronte di un numero spropositato di controlli effettuati dalla Forze dell’Ordine. Quindi a parte alcune eccezioni, come ad esempio gli anarchici di Torino, la popolazione, compreso il momento drammatico ed ha risposto con auto-controllo e disciplina.

Nelle ultime settimane con la riapertura di quasi tutte le attività (palestra, bar e ristoranti compresi) dover leggere i titoli allarmati dei giornali per i presunti assembramenti fuori dai locali ed i toni indignati anti-movida, ha francamente del ridicolo e dell’inaspettato. Se bar e ristoranti hanno aperto è perché le persone ci possano andare. Non ci si può indignare se la gente si ferma nei tavolini a consumare una bevanda in compagnia degli amici e parenti che non vedeva da oltre due mesi.

In ogni caso, le ultime settimane hanno confermato la grande voglia degli Italiani di tornare a lavorare.

Questa è la verità.

Nonostante le politiche assistenzialiste degli ultimi anni (reddito di cittadinanza e simili) che denotano una mancanza di rispetto per il lavoro e per la fatica da parte di una classe dirigente che preferisce distribuire elemosine invece che creare posti di lavoro, gli Italiani non ne vogliono sapere di starsene con le mani in mano. Gli italiani vogliono faticare, produrre e guardare al futuro.

Ecco perché un numero sempre più crescente di persone e categorie, dai sindacati, ai commercianti, passando per il recente fenomeno delle “Mascherine tricolori”, riempiono le piazze italiane chiedendo certezza e chiarezza sul futuro e politiche espansive che prevendano investimenti per far ripartire l’economia.

Questa grande voglia di lavoro ha smentito, ancora una volta, quei ridicoli luoghi comuni che ancora serpeggiano nei paesi europei c.d. “frugali”, ossia quelle nazioni del centro-nord che vogliono imporre a tutte l’Europa la loro visione miope da piccoli ragionieri.

Qui, in Italia, la gente non vuole aiuti, ma vuole essere messa nelle condizioni di poter lavorare per garantirsi un reddito congruo. Gli Italiani sono, in larghissima maggioranza, lavoratori tenaci e instancabili e certamente il coronavirus non poteva toglierci la voglia di continuare a lavorare. Siamo e dovremmo tornare ad essere, una grande “comunità artefice, che non ha nulla da invidiare alle “ricche” nazioni del nord.

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