Negli ultimi anni, la giustizia italiana ha affrontato diverse cause legate al saluto romano in contesti commemorativi. Secondo diverse sentenze, l’uso di questo gesto in occasioni storiche e non con finalità di propaganda non costituisce reato. Tuttavia, nonostante questa interpretazione ormai assodata, la Questura di Roma ha applicato misure restrittive in ambito sportivo, sollevando ovviamente polemiche e proteste.

Daspo per commemorazioni: il caso di Acca Larenzia

La decisione di emettere 16 Daspo nei confronti di altrettanti partecipanti alla commemorazione di Acca Larenzia ha suscitato reazioni contrapposte. CasaPound si fa portavoce, definendoli provvedimenti “assurdi” e fuori contesto. Sottolineando inoltre un’altra anomalia: alcuni dei destinatari non abbiano alcun legame con il mondo del calcio.

“Ci troviamo di fronte a provvedimenti che sembrano avere il solo obiettivo di intimidire un movimento politico e non di garantire la sicurezza negli stadi”, sostiene CasaPound in una nota ufficiale.

Una strategia repressiva?

Viene da chiedersi quindi se questi Daspo applicati a eventi non sportivi rappresentino un’estensione forzata di una norma concepita per lo stadio. La misura colpisce persone che, in alcuni casi, non mettono piede in un impianto sportivo da oltre vent’anni. Un’altra stranezza della questione è l’assenza di notifica ufficiale ai diretti interessati. Nonostante la diffusione di dettagli sulla stampa, che viene a sapere un provvedimento prima che vengo detto a chi è coinvolto. Il contrario della normalità, insomma.

Il precedente della giurisprudenza: il saluto romano non è reato

Le Sezioni Unite della Cassazione si sono già espresse sul tema. Stabilendo che il saluto romano, in contesti commemorativi e privi di incitazione all’odio, non costituisce reato. Sentenze simili hanno portato all’assoluzione di imputati in procedimenti relativi a commemorazioni come quelle di Sergio Ramelli a Milano.

Una questione di libertà o di opportunità?

CasaPound denuncia con un comunicato stampa un trattamento discriminatorio. Evidenziando ancora una volta che l’evento del 7 gennaio è una commemorazione storica per ricordare tre giovani assassinati e non una manifestazione politica. SecondoCPI si tratta di una violazione della libertà di espressione e di partecipazione a eventi di carattere storico.

“Non c’è nessuna sfida alle istituzioni da parte nostra, ma semplicemente la volontà di non fare passi indietro rispetto a una commemorazione che si svolge da decenni e che, secondo le sentenze, non costituisce reato”.

La questione resta aperta: si tratta di un tentativo di controllo politico o di una misura legittima? Il dibattito è destinato a proseguire, sperando alla ricerca della Giustizia e non di rivincite politiche.

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