Il Movimento Sociale Italiano nacque il 26 Dicembre del 1946, nello studio del padre di Arturo Michelini. Fu fondato da Giorgio Almirante e Pino Romualdi, reduci della Repubblica Sociale Italiana, insieme ad altri reduci della Rsi. L’intento era quello di non spegnere la fiamma repubblichina, infatti il simbolo che caratterizzò il neonato movimento fu una fiamma tricolore, come a mantenere vivo l’ideale del periodo appena trascorso.
La fiamma era anche il simbolo degli arditi della prima guerra mondiale. L’Msi mantenne questo nome fino al 1972 quando cambio denominazione in Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale (MSI-DN), in nome di una scelta politica, voluta dall’allora segretario Almirante, più conservatrice ed Atlantista. Con il tentativo di “accreditarsi” come movimento che potesse intercettare i voti più moderati.
Un po’ di storia dell’MSI
Prima della sua costituzione ci fu il Movimento Italiano di Unità Sociale fondato il 12 Novembre 1946 da Almirante e Cesco Baghino insieme ad altri veterani della Repubblica Sociale.
Il 3 dicembre 1946 avvenne la riunione con i rappresentanti di diversi gruppi, il Fronte dell’Italiano, il Movimento Italiano di Unità Sociale, il Fronte del Lavoro e il Gruppo reduci indipendenti, per la stipula dell’atto costitutivo.
Il tutto confluì il 26 Dicembre del 1946 con la costituzione dell’MSI. Il partito venne affidato da subito a Giorgio Almirante ed ebbe il suo battesimo elettorale, in un clima molto pesante, nel 1947 alle elezioni comunali di Roma. In quegli anni fare politica per gli attivisti e i militanti del Movimento Sociale, si rivelò impresa ardua in quanto l’ostilità dei partiti “costituzionali” portò allo scontro in piazza e all’interruzione di tutti i comizi dell’ MSI. Gli episodi di sangue non fermarono il movimento però, che riuscì a presentarsi alle elezioni politiche Nazionali nel 1948, riuscendo comunque a prendere, nonostante il clima, il 2,01 % dei voti.
Il movimento già dal primo congresso portò le tesi del corporativismo e della socializzazione in contrapposizione al libero mercato. Augusto de Marsanich coniò la frase che diventò un mantra del MSI, che sintetizzava la posizione del partito verso il fascismo: “non rinnegare non restaurare”.
Gli anni 50 e 60
Dopo le incriminazioni per ricostituzione del disciolto partito Fascista di alcuni componenti del partito, fra i quali Romualdi, ci fu l’elezione a segretario nel 1950 di De Marsanich e di Arturo Michelini dal 1954 al 1969.
Questi furono anni difficili con continue contestazioni e tentativi di scioglimento del partito. Nel 1951 gli fu impedito di svolgere il proprio congresso. Almirante raccontò di come lui, uno dei dirigenti più in vista, dovette viaggiare per la penisola in terza classe, non dormendo mai, e facendo i comizi su sedie e tavoli di fortuna in tutte le parti d’Italia.
Nonostante ciò riuscì ad affrontare le elezioni amministrative e Nazionali degli anni 50, con risultati che arrivavano anche al 6% in termini di voti. Michelini rappresentava invece la corrente filo-borghese del partito. Infatti parecchie furono anche le fuoriuscite dal movimento.
A seguito dell’elezione di Michelini la componente spiritualista ed evoliana di Pino Rauti, Clemente Graziani e Sergio Baldassini, per segnare la lontananza dal neosegretario, si riunì nella corrente di Ordine Nuovo, che rimase inizialmente all’interno del MSI.
In occasione del V congresso, tenutosi nel 1956 a Milano, dove Michelini veniva confermato segretario, ci fu la scissione dal partito di un gruppo di dirigenti guidati da Pino Rauti. Con la trasformazione della propria corrente nel Centro Studi Ordine Nuovo, uscendo dal MSI. L’MSI in quegli anni appoggiò anche giunte locali socialiste e democristiane, e nel 1960
garantì il sostegno a un governo monocolore guidato dal democristiano Fernando Tambroni. Ciò portò agli scontri di Genova, quando fu impedito con gli scontri il legittimo congresso del partito.
L’MSI rimase da quel momento fuori dai giochi dell’arco costituzionale.
Nel 1969 la segreteria fu affidata a Giorgio Almirante che la mantenne fino al 1987, quando vi rinunció per motivi di salute lasciando spazio a Gianfranco Fini.
Anni 70, 80 e 90
Almirante fu scelto per le sue grandi doti oratorie e per la sua capacità politica (fu chiamata la politica del doppiopetto). Ebbe sicuramente il merito di mantenere saldo il partito in un momento tanto delicato come quello degli anni di piombo.
Moltissime furono le vittime che dovette piangere il partito, quasi tutti giovanissimi della “Giovane Italia” prima, e del “Fronte della Gioventù “. Da Sergio Ramelli fino a Di Nella, passando per la strage di Acca Larentia. Il partito sotto la sua guida affrontó la rivolta di Ciccio Franco di Reggio Calabria del 1970, in cui l’esponente missino fu uno dei massimi protagonisti.
La svolta della “Destra Nazionale” del 1972, riportó il partito su posizioni più atlantiste e di “destra”. Dopo la scissione rientrata di “Democrazia Nazionale” del 76, Almirante portò il partito di fatto a una “legittimazione” quando fu ricevuta una delegazione – per la prima volta – per le consultazioni del primo governo Craxi del 1983, favore che l’Msi riapagó in aula a Montecitorio votando la legge sulla liberazione delle frequenze Radio Tv. Almirante lasciò la guida del partito per motivi di salute nel 1987 lasciando la guida al suo “delfino” Gianfranco Fini. Giorgio Almirante morì da presidente il 21 Maggio 1988 insieme a Pino Romualdi.
Dopo una parentesi affidata a Pino Rauti nel 1990, la segreteria tornò a Gianfranco Fini che nonostante i successi elettorali con lui stesso alle amministrative di Roma e Alessandra Mussolini a Napoli, traghettò il glorioso partito alla nefasta “svolta di Fiuggi” trasformandolo nel partito conservatore e “legittimato a governare”: Alleanza Nazionale. La svolta fu vista da molti come un tradimento dei valori che in qualche modo fu portatore il Movimento Sociale Italiano. Le ferite di quella svolta, quell’area politica le porta addosso ancora tutt’oggi.