Mario Carli è nato il 30 dicembre 1888, in provincia di Foggia, da una famiglia della piccola borghesia locale. Esordì come letterato e trasferitosi a Firenze per dedicarsi agli studi universitari che non avrebbe mai completato, cominciò a frequentare un gruppo di giovani ed irrequieti intellettuali, fra i quali Emilio Settimelli, Bruno Corra e Arnaldo Ginna destinati, tutti, a diventare capisaldi del futurismo. Fu proprio quando il futurismo fiorentino fece parlare di sé, che ebbe nella rivista L’Italia futurista un preciso punto di riferimento, della quale Carli e i suoi amici furono protagonisti assoluti.

Quei giovani intellettuali divennero famosi non solo per le polemiche culturali e per le dispute politiche, ma anche per l’abbigliamento e per i comportamenti anticonvenzionali, in qualche caso provocatori. Carli girava per i vicoli di Firenze indossando colorati abiti «futuristi» con un immancabile gilet rosso con risvolti asimmetrici e una doppia fila di bottoni di madreperla.

Lo chiamavano “il turco”, sia per il vistoso modo di vestire, sia per il carattere irascibile, permaloso e per la sua spavalderia. Il suo innamoramento al futurismo era dettato, oltre dal suo stile di vita provocatorio e irriverente, anche dal suo bagaglio intellettuale d’avanguardia.

Quando scoppia la Grande guerra egli, come la gran parte dei futuristi, si impegna a fondo nella battaglia interventista in nome dell’idea marinettiana della «guerra sola igiene del mondo». Coerente con le sue idee, volle entrare, come ricorderà in seguito Giuseppe Attilio Fanelli (suo amico e sodale in tante campagne giornalistiche e politiche), “di prepotenza nelle file di un esercito che non poteva reclutarlo per una forte miopia che lo avrebbe immobilizzato nell’ipotesi che gli fossero cadute le lenti spesse come quelle di un riflettore”: si aggregò volontario in un reparto di zappatori, poi nel 1917 con la creazione degli Arditi, si arruolò nel 18° reparto d’assalto, l’élite. Da semplice soldato, ben presto diventò capitano del Regio Esercito, conquistando sul campo la medaglia d’argento al valore e la croce di guerra.
Nell’estate del 1918 insieme a Marinetti e a Emilio Settimelli, diede vita a Roma Futurista, un elogio all’arditismo futurista.
Nel primo numero pubblicò un appello alle fiamme nere (il simbolo che si trovava sui baveri delle divise degli Arditi):

«L’Ardito è il futurista di guerra, l’avanguardia scapigliata e pronta a tutto, la forza agile e gaia dei vent’anni, la giovinezza che scaglia le bombe fischiettando i ricordi del Varietà.» (Mario Carli, A me, Fiamme nere!)

Nel 1919 in diverse città italiane si organizzavano e nascevano i “fasci futuristi”, di poco antecedenti i Fasci di combattimento. Carli diede vita a Roma al Fascio Futurista, la cui direzione mantenne fino a quando, per punizione per aver tenuto un infuocato comizio a favore di Fiume e Dalmazia, venne trasferito a Cremona.
Il 23 marzo 1919 fu tra i sansepolcristi all’atto di fondazione dei Fasci Italiani di Combattimento durante l’adunata di piazza San Sepolcro a Milano.

Carli diventò un giornalista di successo ma non esitò a partire per l’Impresa di Fiume. A Fiume fece gruppo con Mino Somenzi, uno dei numerosi ebrei che aderirono al fascismo, con i futuristi Cesare Cerati e Angelo Scambelluri, ma soprattutto con l’aviatore Guido Keller.

Nel febbraio del 1920 fondò La Testa di Ferro, giornale ideato per i legionari fiumani.
Sulla Testa di Ferro prese posizioni molto radicali e poco ortodosse, ed è l’epoca in cui venne abbagliato dalla rivoluzione russa: per questi suoi pensieri poco allineati, anche se apprezzati da Gabriele D’Annunzio, il comando della Reggenza del Carnaro decise di fare trasferire la redazione a Milano.

Con la Marcia su Roma aderì definitivamente al fascismo e con il suo amico e collega Settimelli, l’11 Marzo 1923 fondò la rivista l’Impero. Il giornale fondato da Carli ebbe innanzitutto il merito di ricomporre le frammentazioni che si crearono durante gli anni tra la fine della prima guerra mondiale e la Marcia su Roma: il 25 Aprile 1923 Marinetti firmò, con Carli e Settimelli, il manifesto de L’impero italiano e molti di quanti ebbero partecipato alle precedenti iniziative editoriali di Carli iniziarono a collaborare con il nuovo organo di stampa.
Con questa nuova esperienza Carli si mise a sentinella del fascismo radicale ed intransigente, in aperta e aspra polemica con quegli intellettuali liberali che accorrevano sul carro del vincitore.

Nel 1932, intraprese una nuova esperienza come console generale d’Italia in Brasile e Grecia dove rimase fino al 1935.

Colpito da un male incurabile, fece rientro a Roma dove, il 9 settembre 1935, morì all’età di 47 anni. Al riguardo l’ardito Piero Bolzon disse: «Che Carli dovesse morire di morbo lento è terribile, è pena, cui non so tuttora adattarmi. Solo una fine eroica, che gli fallì, sarebbe stata degna di così eccezionale giovinezza».

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