(Adnkronos) – Rendere il nostro Paese leader mondiale nel comparto delle life sciences, fornendo supporto alle istituzioni per concretizzare il primato, ma favorire anche la qualità e la sostenibilità del sistema sanitario nazionale in un contesto di crescente competitività internazionale. E' l'obiettivo del documento 'Una Strategia nazionale per le life sciences', messo a punto da Healthcare Policy e 'Formiche' e presentato alla Camera dei deputati con il supporto dell'Intergruppo parlamentare One Health. "Questo documento – spiega all'Adnkronos Salute a margine dell'incontro Alessandra Maria Claudia Micelli, direttore di Healthcare Policy e condirettore di Formiche, che ha elaborato il testo – vuole essere uno strumento utile alle istituzioni che si stanno già muovendo per posizionare l'Italia come Paese leader". E ci sono degli elementi fondamentali per realizzare questo obiettivo. "Innanzitutto serve l'attenzione alla ricerca e allo sviluppo. Nel nostro Paese si concentra solo il 4% degli investimenti in R&S dell'industria farmaceutica. Un dato che fa riflettere", aggiunge Micelli. Necessario, inoltre, "aiutare l'industria con: certezza delle leggi, tempi certi, infrastrutture, possibilità di partnership pubblico-privato". Allo stesso tempo, "è decisiva l'attenzione ai dati sanitari e, più in generale, alla salute digitale. Ma anche alla cooperazione, non solo pubblico-privata, ma interistituzionale e fra parti sociali", evidenzia Micelli sottolineando che "il documento propone una serie di analisi dei freni allo sviluppo a cui si accompagnano, però, una serie di indicazioni per superare le barriere. Questo perché fare un elenco di cosa ci blocca non è utile a nessuno, ci servono invece azioni pratiche per superarle. Ed è quello che abbiamo cercato di fare". L’esempio degli altri Paesi Programmi analoghi sono già stati adottati da altri Paesi come Stati Uniti, Giappone, Gran Bretagna, Francia e Germania, per un settore rivoluzionato da innovazioni straordinarie che stanno ridefinendo il panorama sanitario globale. L’Italia, con un ecosistema di circa 5.600 imprese operanti nel settore farmaceutico, dei dispositivi medici e delle biotecnologie, e una produzione pari a circa 250 miliardi di euro, rappresenta solo il 4% del totale degli investimenti in Ricerca e Sviluppo dell’industria farmaceutica in Europa, contro il 20% della Germania, il 14% del Regno Unito e l’11% della Francia. Inoltre, in termini di occupazione nel comparto delle life sciences, negli ultimi dieci anni è rimasta pressoché stabile (-0,4%), mentre altri Paesi europei hanno registrato aumenti significativi: Spagna +22%, Germania +12%, Regno Unito +75%. All'elaborazione della 'strategia' proposta dal documento ha partecipato un gruppo di esperti provenienti da diverse aree del settore delle life sciences, coordinati da Alessandra Maria Claudia Micelli: Pierluigi Paracchi, Ceo di Genenta Science (Nasdaq: Gnta) e moderatore del tavolo di lavoro per l’internazionalizzazione del settore biotecnologico promosso dal Maeci; Guido Rasi, consulente del ministro della Salute, professore di Microbiologia all’Università di Roma Tor Vergata, già direttore esecutivo dell’Ema; Giovanni Tria, presidente della Fondazione Enea Tech Biomedical, docente di Economia politica all’Università di Tor Vergata e già ministro dell’Economia e delle Finanze; Elisabetta Vitali, direttrice del programma italiano della Armenise Harvard Foundation. Rasi: 'serve più Europa ma con meno burocrazia e maggiore agilità' "Per la ricerca, nel campo delle life sciences e non solo, ci vuole più Europa, ma non quella attuale. E' necessario che sia più coordinata, meno burocratica e con delle regole che possano anche prevedere l'emergenza, l'investimento per obiettivi". A dirlo all'Adnkronos Salute è Guido Rasi, consulente del ministro della Salute, docente di Microbiologia all'Università di Roma Tor Vergata, già direttore esecutivo dell'Agenzia europea del farmaco Ema. "L'Europa – ha aggiunto – paga la grande debolezza della frammentazione. Un esempio per tutti: durante la pandemia abbiamo avuto 7-8mila studi clinici prodotti in Europa, tutti inconclusivi, e uno solo fatto in America e andato a segno. Perché? Perché hanno un'autorità centrale che è l'Nih che dà un protocollo, dà i fondi adeguati. In Europa chiedemmo dei soldi come Ema, ci dissero che bisognava fare un bando. Ma un bando in pandemia non ha molto senso. Il problema è che non c'è un'autorità che possa prendere decisioni emergenziali, che possa coordinare la ricerca. C'è un po' l'idea di essere molto egualitari, distribuire le cose equamente, che è un bel principio, ma la ricerca non è democratica, servono decisioni e scelte precise". Per quanto riguarda il nostro Paese e il documento presentato oggi, invece, "promuovere ricerca e sviluppo in Italia nel campo delle life sciences è necessario. Fino ad ora si è fatto poco – osserva Rasi – ma è fondamentale per la competitività e per tutte le implicazioni e le ricadute positive, non solo in salute. Bisogna però lavorare molto sull'armonizzazione delle varie legislazioni. Basti pensare che ancora abbiamo i device divisi dal farmaco, le App – e quindi la parte digitale – non ancora regolamentata, invischiata nei processi approvativi di farmaci e dispositivi. E ancora: una legge sulla privacy che non risponde alla realtà e alle necessità della salute, anzi è quasi contro la salute. E soprattutto, la cosa più importante, manca un ambito pubblico-privato che sia molto ben definito, molto chiaro e molto semplice". Tria: 'fondi liste attesa? Avere coraggio per spending review' La risoluzione della questione liste d'attesa "è solo in parte un problema di fondi. E' anche un problema organizzativo complessivo. Ovviamente l'organizzazione senza risorse è difficile, ma non bastano nemmeno le risorse senza organizzazione". Sul piano pratico, comunque, "bisogna cercare risorse da altre parti e spostarle. Bisogna avere il coraggio di fare una spending review". Così all'Adnkronos Salute Giovanni Tria, presidente della Fondazione Enea Tech Biomedical, docente di Economia politica all'Università di Tor Vergata e già ministro dell'Economia e delle Finanze, in merito all'approvazione in Cdm del Dl e del Ddl anti-liste d'attesa. "E' chiaro che alla sanità devono andare più fondi e serve spostare le risorse da altre aree. La famosa spending review non significa solo tagliare, significa mettere le risorse dove ci sono le priorità e tagliare dove invece le priorità non ci sono. Bisogna avere il coraggio di fare questo. Va bene discutere sempre dei margini e di quale incremento di spese ci deve essere in un posto o in un altro. Ma comunque ci sono gli 'stock', cioè la massa di risorse impegnate da tante norme che possono essere riviste e, quindi, liberare risorse. Questo bisogna decidere: quali sono le priorità". —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)