Mosca, 9 febbraio 1990. 49 anni dopo il patto Molotov-Ribbentrop i sovietici commisero lo stesso tragico errore: fidarsi delle promesse occidentali. Tre mesi prima il muro di Berlino cadde per sempre. Nelle stanze del Cremlino risuonano ancora le parole vane di James Baker: “Ma se lei fosse favorevole alla riunificazione tedesca e noi fossimo d’accordo a non spostare la giurisdizione della Nato di un solo pollice verso Est?”.
Gorbaciov approvò e fu la fine della cortina di ferro in Europa. Il segretario di stato americano però non sottoscrisse alcun impegno scritto. E nell’arco di pochi anni il confine della Nato si avvicinò sempre più pericolosamente alla frontiera del paese degli Zar.
Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania, Lituania, Estonia, Lettonia e molti altri paesi voltarono le spalle a Mosca
La Russia si trovò a subire la più grande cessione territoriale (de facto) della propria storia da Brest-Litovsk.
L’Ucraina rimane dunque l’ultimo baluardo per evitare ai russi di avere un’alleanza apertamente ostile alle porte di casa. Un’eventuale invasione dovrebbe essere intesa come un extrema ratio di una difesa legittima.
La strage di Odessa del 2014, un massacro indiscriminato della minoranza russofona costato la vita ad almeno 50 persone ha dimostrato infine quanto il pericolo di una pulizia etnica sia concreto, e non un semplice “casus belli” inventato ad Hoc da Putin.
Sono inoltre evidenti le infiltrazioni dei servizi segreti occidentali e di bande armate apertamente neonaziste all’interno delle file ucraine che portarono alla destituzione di Yanukovich e alla successiva guerra nel Donbass.
Se 175.000 uomini marceranno su Kiev, la colpa sarà esclusivamente di chi ha preteso di trattare una potenza nucleare al pari di San Marino. Una mossa (perlomeno) incauta.