Da sempre ritengo che le lenti deformanti del tempo e della nostalgia del passato siano distorsive delle realtà fattuali e dei giudizi di valore o disvalore che ad esse conseguono. Sin dalle prime ore di stamane sono sottoposto al martellamento mediatico che solennizza il secolo dalla scissione socialista di Bordiga e di Gramsci e dalla contestuale fondazione del Partito Comunista italiano.
Un partito, giova ricordarlo, costituito sull’onda emotiva prodotta dagli eccidi della Rivoluzione d’Ottobre, che in Russia ha posto fine, nel sangue, ad un sistema di governo legittimo. Gli emuli nostrani dei seguaci di Lenin hanno dunque ritenuto, nel gennaio 1921, che il “riformismo” socialista fosse minormente efficace, in termini di attuazione dell’obbiettivo del raggiungimento del potere, della mattanza generalizzata della Borghesia, al pari di come venne dai non eticamente differenti rappresentanti della cultura liberale legittimato il genocidio posto in essere durante la Rivoluzione Francese e nel successivo periodo del Terrore dalle Colonne di Fuoco di Robespierre e dai suoi miseri gregari.
Si stima che più di un terzo della popolazione Vandeana sia stata soppressa in quanto considerata controrivoluzionaria. Voglio ancora ricordare che i mesi successivi alla costituzione del Partito Comunista Italiano furono segnati da occupazione delle fabbriche, da violenze inaudite e da una situazione di ordine pubblico insostenibile.
Nelle campagne dell’Emilia Romagna, caratterizzate da una economia prevalentemente agricola, le bande comuniste avevano la consuetudine di impedire con la violenza la mungitura delle mucche, provocando la morte degli animali tra atroci sofferenze. Al fine di verificare che i contadini non si recassero nella notte a svolgere le mungiture i comunisti erano usi colorare le mammelle degli animali con rosso di analina e controllare le mani dei coloni tutte le mattine per accertare l’eventuale presenza di tracce di colore. Nell’eventualità di un riscontro positivo gli uomini venivano percossi, alle volte sino alla morte, mentre le donne venivano violentate.
Provo dunque un senso di insofferenza nei confronti di quanti, a distanza di un secolo, rievocano l’origine delle scelleratezze peggiori che possano essere concepite dalla mente umana. Lo sdegno aumenta sensibilmente nel momento in cui focalizzo che di questa barbara ideologia si è servito il mondo della finanza internazionale per distruggere le culture identitarie ed il concetto stesso di Nazione al fine di generare quelle masse apolidi di migranti e di autoctoni divenuti inconsapevoli dei propri diritti, necessarie alla creazione di una forza lavoro sottopagata e priva di dignità umana rendendo in tutto il mondo i discendenti storici del Bolscevismo gli alfieri più convinti della globalizzazione.
L’enfasi del ricordo e della rievocazione storica in questo caso dovrebbe essere calmierata in quanto l’apologia del Male costituisce un evidente pericolo per quanti non sono nelle condizioni di discernerlo.