Chi muore giovane è caro agli Déi, ma ciò è vero solo se ha opportunità di morire in battaglia. Quando un giovane di vent’anni muore quale conseguenza di una violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro la sua morte è il prodotto di un disordine sociale così grave da non garantire la tutela di un diritto essenziale alla sopravvivenza sociale della persona.

Quanto avvenuto a Torino dovrebbe gravare come un macigno sulla coscienza del sistema politico, se mai questo ne possedesse una. Tre vite spezzate in conseguenza della “normalità” di condizioni di lavoro inumane imposte da un nuovo sistema valoriale fondato sulla ricerca isterica del guadagno anziché sul perseguimento della qualità della vita e sulla completezza esistenziale.

Norme vessatorie impongono alle imprese la ricerca di un profitto sufficiente al netto di una pressione fiscale spaventosa, e tale risultato viene raggiunto attraverso una monetizzazione inumana del tempo lavorativo. L’Italia non possiede ormai da vent’anni sovranità monetaria e, non potendo liberamente contrarre debito pubblico attraverso l’emissione di valuta propria è costretta a ricorrere ai prestiti usurari della Banca Centrale Europea ed a comprimere le garanzie sociali alle quali dagli 30′ dello scorso secolo eravamo abituati in termini di garanzia e sicurezza sul lavoro, di assistenza sanitaria e di previdenza pensionistica.

Ecco allora che i giovani, in un tentativo di sopravvivenza, paradossalmente vanno incontro alla morte sul lavoro, i meno giovani trascurano la cura della propria salute in quanto le liste di attesa negli ospedali rendono impossibili prestazioni sanitarie tempestive, i più anziani sono costretti a lavorare sino alla soglia del sepolcro non potendo accedere ad una quiescenza che il Regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3184 del governo Mussolini prevedeva al raggiungimento dell’età anagrafica di 60 anni per gli uomini e di 58 per le donne.

Ecco dunque che le frasi di circostanza pronunciate dal Sindaco di Torino paiono vuote ed inopportune, banalizzando anzi una tragedia che, al pari di altre, ha trovato la sua primaria origine nella inadeguatezza del sistema sociale che, a tutti i livelli, dal momento dell’ingresso del nostro Paese nell’Unione Europea stiamo subendo.

La gravità dell’evento mi dispensa dallo svolgere osservazioni “parallele” sulle modalità con cui viene gestita una emergenza epidemiologica di oscura origine, ulteriore problema sociale innestato in una comunità già stremata da un precedente problema economico. La sensazione che molti di noi provano è che si sia innestata una spirale distruttiva destinata a condurci nell’origine di in un vortice non occasionalmente creato da quanti si beneficeranno della raccolta dei rottami provenienti dal naufragio della nostra Nazione.

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