Il 25 novembre 1970 ero un adolescente e, rientrando a casa da scuola, appresi la notizia del suicidio rituale di Yukio Mishima da mio padre, che a sua volta ne venne a conoscenza dal notiziario di un’emittente televisiva.

Ricordo che in casa ne parlammo a lungo, facendo comparazioni con il suicidio di Jan Palach avvenuto l’anno precedente. In entrambi i casi i protagonisti di di quei tragici gesti avevano sacrificato la propria giovane vita con voluta premeditazione. Il fine fu di sensibilizzare l’opinione pubblica in ordine alla intollerabilità degli effetti di una oppressione straniera nella propria Patria.

Suicidio rituale di Yukio Mishima, straordinaria devozione

Mio padre, Ufficiale di carriera, mi fece osservare come il porre fine volontariamente alla propria vita, in determinati ed estremi frangenti, non costituisse un atto non conservativo proprio di uno spirito debole. Al contrario, rappresenta un comportamento di straordinaria volizione, appannaggio di uomini dotati di una determinazione eccezionale. Uomini la cui generosità giungeva al sacrificio della propria esistenza al fine di perseguire un interesse diffuso, generale e superiore.

Negli anni successivi ebbi di nuovo modo di riflettere a lungo sulla nobiltà del sacrificio individuale estremo. In occasione della morte di Dominique Venner. Si immoló nella Cattedrale di Notre Dame in segno di protesta contro la progressiva compressione, da parte del Mondialismo, dei valori tradizionali europei.

Anche in questo caso una vita individuale venne sacrificata spontaneamente in vista dell’interesse collettivo a non subire l’annientamento della propria cultura identitaria e della propria etnia da parte di un aggressore sovranazionale ed apolide.
Il 25 Novembre 1970 Mishima incontrò il Sole della Morte, coraggiosamente e senza distogliere lo sguardo da esso.

E’ stato anche scritto un libro sul tema, ne avevamo parlato.

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