Che volesse farla finita lo ha aveva detto subito dopo avere ucciso a coltellate il suo migliore amico. “Voglio scusarmi con tutti, ho fatto una cazzata”, aveva scritto confessando sui social, Mentre era ancora in fuga, dopo l’omicidio di Yoan Leonardi. Due anni dopo Alberto Pastore, 24 anni, si è suicidato mentre scontava la condanna a 14 anni e mezzo che gli era stata inflitta con rito abbreviato.
Il decesso risalirebbe a venerdì scorso, ma la notizia ha trovato conferma soltanto nelle scorse ore a Cureggio. Il paese dove vive la famiglia del giovane e dove da giorni si rincorrevano le voci. In carcere Pastore aveva manifestato problemi di salute – forse dovuti anche a un presunto pestaggio – dai quali non si è ripreso fino al suicidio.
In carcere Pastore non era più il ragazzo che aveva colpito per la sua freddezza nel video in cui raccontava quello che aveva fatto, mentre era in fuga con la sua auto dal piazzale alla periferia di Cornignano (Novara) e dal cadavere del suo amico. Due vite distrutte, come le rispettive famiglie. Anzi tre: anche la ragazza, che faceva coppia con Alberto, e che lui credeva avesse qualcosa di più di un’amicizia con Yoan, resterà comunque segnata da questa vicenda terribile.
Yoan Leonardi e Alberto Pastore, la storia dell’omicidio
Pastore si era incontrato con Leonardi, anche lui un operaio, per un ‘chiarimento’ nel cuore della notte. Vicino a un pub di Comignago, il paese della vittima, nel piazzale dell’ex Museo dell’Aeroplano. Un luogo non lontano dalla parte più a sud del lago Maggiore. Tra i due, dopo la violenza nelle parole, le accuse e gli insulti, è spuntato il coltello dell’omicida. Yoan è caduto, colpito a morte, sotto gli occhi dell’amico assassino.
Nel video in cui spiegava le motivazioni del gesto, Pastore parlava con una calma incredibile. “Non so se Yoan ci sarà ancora. Ma il mio obiettivo era far vedere alla gente che per amore non bisogna mai intromettersi nelle faccende altrui“.
Farneticazioni che avevano lasciato spazio allo sconforto già nell’udienza di convalida, due giorni dopo il delitto. Quando al gip del tribunale di Novara era apparso molto provato, in lacrime. Una condizione che non lo ha più abbandonato, come l’intenzione di uccidersi. “Voglio morire – dice – è l’unica soluzione”. Fino ad un mese fa, quando ha tentato davvero di suicidarsi. Soccorso e ricoverato in ospedale, a Torino, le sue condizioni erano apparse sin dall’inizio molto gravi.