(Adnkronos) – Strutture inadeguate, sovraffollamento, carenza di personale sanitario, disagio psichico diffuso e suicidi: tutte criticità che affliggono gravemente l'attuale sistema carcerario italiano. Un'amara realtà che coinvolge anche gli istituti penitenziari del Lazio dove sono detenute quasi 6.700 persone con un tasso di affollamento effettivo del 141%. A Regina Coeli, addirittura, supera il 180%. "Significa che nel carcere romano per ogni posto detentivo ci sono due persone. Abbiamo un sistema penitenziario che sta scoppiando: ci sono troppi detenuti", sottolinea all'Adnkronos il Garante dei detenuti del Lazio Stefano Anastasìa, convinto che per far fronte a tale emergenza occorra "un intervento drastico in tempi brevi". Tra le soluzioni, "non bisogna escludere di arrivare anche a un provvedimento di clemenza". In queste condizioni di vita dietro alle sbarre "come fanno i detenuti a non avvertire disagio, come fanno gli operatori a seguirli tutti? Non è possibile. Così fare prevenzione è come svuotare il mare con il cucchiaio". Dall'inizio dell'anno sono già 27 i suicidi nelle carceri italiane, tra loro anche il detenuto che, a febbraio scorso, si è tolto la vita a Latina. Su questo fronte nel Lazio, grazie ai tavoli tecnici interistituzionali sulla sanità penitenziaria, si sta lavorando puntando a un aggiornamento di tutte le misure di prevenzione del rischio suicidario. Nei giorni scorsi il Garante Anastasìa è stato alle riunioni nelle Asl di Viterbo, Latina e Frosinone. "Sto cercando di stimolare l'azione delle aziende sanitarie, di concerto con l'Amministrazione penitenziaria, per aggiornare i piani locali di prevenzione sul rischio suicidario e per attrezzarsi nel modo migliore sul versante dell'assistenza psicologica e dell'ascolto dei detenuti". Il problema è che sempre meno medici prestano attività in carcere. "La carenza di personale sanitario riguarda in generale tutta la Sanità, di riflesso ricade anche sulle carceri", osserva Anastasìa ricordando che a Frosinone nei mesi scorsi ha chiuso il servizio psichiatrico nell'ospedale perché non c'erano più professionisti. "Sto riscontrando in tutte le Asl massima disponibilità ad assumere anche in pianta stabile. Ai bandi però non risponde nessuno, per questo ho proposto in Regione di dare degli incentivi al lavoro nell'ambito penitenziario". Finora sulla richiesta alla Regione Lazio da parte del Garante dei detenuti di riconoscere lo status di sede disagiata alle carceri in modo da incentivare i sanitari a sceglierle, "non c'è stata però ancora una decisione, mi auguro possa arrivare presto". Nel Lazio sono state invece impegnate delle risorse per la promozione delle attività trattamentali e ricreative in carcere, "utili, anche queste, per alleviare le condizioni di detenzione". Una rassicurazione su un maggiore impiego di operatori ed esperti (tra cui mediatori culturali) è arrivata dal Garante nazionale dei detenuti che Anastasìa ha incontrato di recente: "Ci è stato riferito che dovrebbe esserci un investimento da parte del Governo in tal senso". A fronte delle tante criticità e delle morti in carcere, secondo Anastasia "bisogna muoversi" e fare tesoro delle buone esperienze. Come quella di formazione dei detenuti all'attività di Peer supporter, ovvero al sostegno dei compagni di cella. "Si rinnova periodicamente nelle carceri di Regina Coeli e Civitavecchia – sottolinea – Prima ancora del professionista, sono infatti gli stessi detenuti, i più vicini, a dover percepire i primi segnali di allarme del disagio del compagno di cella". Claudio Marotta, capogruppo per Avs in Consiglio regionale del Lazio, in un anno ha visitato varie strutture del Lazio. "Dall’inizio del 2024 ho avuto accesso, in particolare, alla Casa circondariale di Frosinone e al Cpr di Ponte Galeria. Due luoghi molto differenti tra loro, in cui emergono delle criticità comuni", dice all'Adnkronos. In particolare, descrive la situazione interna al Cpr, visitato dopo il suicidio di Ousmane Sylla, "drammatica sotto ogni punto di vista". "Al sovraffollamento e alle carenze sistemiche delle carceri, si somma la condizione di detenzione amministrativa in cui si trovano i reclusi. Un limbo di burocrazia e permessi, in cui coloro che si trovano in un Cpr, non sono lì a scontare alcun tipo di pena, non sono accusati di reato, ma sono solamente in attesa di un rimpatrio, che potrebbe non arrivare mai. Una compressione inaccettabile dei diritti di queste persone", sostiene. "Per quanto riguarda, invece, le strutture penitenziarie penso che i temi siano due: da un lato un grave abuso del diritto penale nella legislazione italiana, e dall’altro, il fatto che entrando in un carcere ci si rende conto di essere davanti a tutte le carenze strutturali di una pubblica amministrazione, ma all’ennesima potenza. L’abuso della legislazione penale è una tendenza che è cresciuta negli ultimi anni – evidenzia il consigliere regionale Marotta – Non si fa prevenzione e non si affrontano le questioni sociali, si creano solo meccanismi repressivi dei fenomeni che riempiono sempre di più le celle. In questo modo, le strutture, che sono carenti per manutenzione e per personale, non sono in grado di offrire reali percorsi di reinserimento nella società. Anzi, il sovraffollamento trasforma la permanenza nelle carceri in un’ulteriore afflizione per il detenuto, che può arrivare a vedersi negata, spesso, anche l’assistenza medica di base. È il caso, per esempio, di Frosinone, in cui abbiamo riscontrato difficoltà di approvvigionamento perfino di semplici tachipirine. Questo impedisce reali percorsi di assistenza psicofisica, sempre più necessari. Ogni suicidio in carcere è un fallimento totale per lo Stato: un cittadino si toglie la vita mentre gli è affidato. C’è bisogno di un impegno da parte delle istituzioni e della magistratura di sorveglianza per allargare quanto più possibile le maglie dell’accesso alle misure alternative e a progetti di reinserimento e valorizzazione dei percorsi dei singoli". —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)