Fra i giocatori del Grande Torino che morirono quel tragico 4 maggio 1949 nello schianto di Superga c’era anche un campione originario della città di Fiume. Che i tifosi avevano soprannominato “Elefante”, per i suoi movimenti non particolarmente veloci e per il suo fisico robusto.
Il suo nome era Ezio Loik, nato a Fiume il 26 settembre 1919. Pochi giorni dopo l’ingresso in città di D’Annunzio e dei suoi legionari, in una famiglia di modeste condizioni.
Il padre, Roberto, era un operaio del silurificio Whitehad, e non sempre era facile sbarcare il lunario. Ezio era il secondo di tre fratelli, tutti battezzati con un nome che iniziava con la lettera “e”. Il più anziano era Ervino, nato nel 1915, che giocò a calcio nella Fiumana e nel Pordenone in qualità di difensore. Mentre il più giovane, Egeo, morì nel 1945 di malattia mentre prestava servizio come Allievo Ufficiale della Guarda Nazionale Repubblicana.
Ezio, forse anche stimolato dall’esempio del fratello, si appassionò ben presto al gioco del calcio. Cominciando a giocare nella squadra della Leonida per poi approdare alla Fiumana, in terza serie, nel campionato 1936/37. Il ragazzo, che giocava come mezzala destra, dimostrò immediatamente di saperci fare. Nelle 41 partite disputate siglò infatti 12 reti. Un risultato di tutto rispetto che gli meritò le attenzioni di squadre più importanti. Fu così che, a partire dal campionato successivo, Ezio giocò nel Milan. Squadra con la quale disputò tre campionati giocando in totale, fra campionato e coppe, 63 partite e siglando 13 reti.
La carriera di Ezio Loik
L’ultima partita in rossonero fu Modena – Milan, terminata 2 a 2 e giocata il 2 giugno 1940, otto giorni prima della dichiarazione di guerra.
Al termine della stagione 1939/40 Ezio fu ceduto al Venezia, dove con Valentino Mazzola diede vita ad una coppia di mezzali di altissimo livello. Quello fu il periodo migliore della squadra veneta. Nel 1941 vinse la Coppa Italia battendo nei quarti di finale il Bologna, in semifinale la Lazio e in finale la Roma. Così come avveniva fino alla stagione 2007/08, la Coppa era assegnata al termine di una doppia sfida. E nel 1941 la finale di andata si concluse sul 3 a 3. Con la Roma in vantaggio per 3 a zero al termine del primo tempo, raggiunta nella ripresa dai veneti. La finale di ritorno si giocò il 15 giugno 1941 e terminò 1 a zero per i Lagunari. Grazie ad un gol di testa segnato al 27’ della ripresa proprio da Loik su passaggio di Mazzola. L’anno successivo il Venezia confermò il periodo magico che stava attraversando ottenendo il terzo posto in campionato dietro Roma e Torino. Ezio Loik fu chiamato in Nazionale giocando le sue prime due partite nel mese di aprile del 1942. Nella seconda, un’amichevole contro la Spagna vinta per 4 a zero, segnò la sua prima rete in maglia azzurra.
L’arrivo al Torino Calcio
Al termine della stagione ci fu un’altra novità nella carriera calcistica del giocatore fiumano. Il presidente del Torino, Ferruccio Novo, decise di aggiudicarsi le prestazioni sportive di Loik e Mazzola. Offrì al Venezia la somma, per quei tempi notevole, di un milione e duecentomila lire. Più due contropartite tecniche di discreto livello (l’argentino Raul Mezzadra e Walter Petron). Anche la Juventus era interessata ai due giovani talenti, ma la sua offerta si fermò a 800mila lire. Il presidente del Venezia Arnaldo Bennati accettò la proposta di Novo e le due mezzali passarono al Torino. Contribuendo in maniera decisiva ai successivi trionfi dei Granata.
L’esordio in maglia granata
La prima partita giocata da Loik con i nuovi colori fu quella del 20 settembre 1942 contro l’Anconitana in Coppa Italia. Vinta con il rotondo punteggio di 7 a zero. Nonostante il periodo difficile per l’Italia e il mondo, il Torino attraversò un periodo straordinario. Nel 1943 vinse la Coppa Italia, battendo in finale proprio il Venezia per 4 a zero. Aggiudicandosi poi negli anni successivi cinque scudetti.
Di quella squadra straordinaria Loik fu un elemento fondamentale, realizzando 70 reti in 176 partite. Giocatore non particolarmente appariscente ma affidabile e di buone doti fisiche. Dotato di un ottimo tiro, la mezzala fiumana rappresentava il compagno ideale del più tecnico Valentino Mazzola.
Dal punto di vista umano, chi ha conosciuto Loik lo ha sempre descritto come un uomo generoso. Quando sul tram che da casa lo portava agli allenamenti incontrava qualche esule di Fiume metteva immediatamente mano al portafogli. Ben consapevole delle difficoltà di chi, come la sua famiglia, aveva abbandonato quelle terre, soprattutto nei primissimi anni dopo la fine della guerra. E con il denaro Loik ebbe per tutta la vita un rapporto particolare. Dovuto probabilmente alle ristrettezze patite quando era bambino e al ricordo di quando, per scaldare la famiglia durante l’inverno, rubava sacchi di carbone. Si racconta portasse sempre con sé un portafogli di grosse dimensioni nel quale teneva le ingombranti banconote dell’epoca. Che la sera le metteva sul letto per lisciarle con attenzione e poi metterle al sicuro.
La tragedia di Superga
I tempi difficili erano ormai solo un ricordo, e Loik aveva davanti a sé la possibilità di giocare ad altissimi livelli ancora per diversi anni. Ma arrivò quel maledetto 4 maggio 1949.
La squadra del Torino rientrava dal Portogallo, dove aveva giocato un’amichevole contro il Benfica, a bordo di un trimotore FIAT G 212. Che, dopo aver sorvolato Spagna e Francia meridionale, puntò a nord, in direzione di Torino. Il tempo sul capoluogo piemontese era pessimo, con nubi quasi a contatto del suolo, rovesci di pioggia. Ma anche vento a raffiche e visibilità non superiore a quaranta metri.
Probabilmente a causa di un guasto all’altimetro l’aereo, mentre si dirigeva verso l’aeroporto di Torino alla velocità di 180 chilometri l’ora, scese sotto i settecento metri. Alle ore 17:03 si trovò improvvisamente di fronte il terrapieno della basilica di Superga. Lo schianto fu inevitabile e nell’urto morirono tutti coloro che si trovavano a bordo. 18 giocatori, 3 dirigenti, l’allenatore, il direttore tecnico e il massaggiatore, 3 giornalisti, il primo e il secondo pilota e due uomini di equipaggio. Scompariva così il Grande Torino.