Non sono un seguace di Voltaire ma ritengo rappresenti un diritto fondamentale di ogni essere umano quello di esprimere compiutamente il proprio pensiero, qualunque esso sia, anche quando questo possa essere non coincidente, contrastante od addirittura incompatibile con quello degli altri.

Il pensiero politico, contemporaneo e non, è sempre stato generato dall’adesione a sistemi valoriali ispirati da orientamenti filosofici che, a loro volta, hanno influenzato correnti di pensiero economico e di organizzazione sociale. Giudico di una grettezza ripugnante anche solo il teorizzare l’applicazione di una sanzione penale rivolta a chi si avvalga dell’insopprimibile facoltà di esprimere il proprio pensiero e l’inibizione all’esistenza in vita di questo o di quel partito o movimento politico.

Osservo come nel tanto vituperato “ventennio” non si giunse mai alla negazione per legge dei Partiti politici ma si operò, dapprima con la Legge n. 1019 del 17.05.1928 alla creazione di un unico “listone” di 409 candidati a voto plebiscitario e, successivamente, con la Legge n. 129/1939 alla sostituzione della Camera dei Deputati con la Camera delle Corporazioni i cui membri rappresentavano organicamente gli interessi delle categorie lavorative e professionali.

Ben diversa è stata la produzione normativa postbellica con l’introduzione della Legge 10.02.1953 n. 62, meglio nota come Legge Scelba, con cui venne sancito, per la prima volta in Italia, il reato di opinione, giungendo al paradosso di legittimare tra i “Padri Costituenti” i componenti di un partito dichiaratamente marxista e votare la damnatio memoriae ad un altro partito perché aveva avuto la cattiva sorte di essere un soccombente bellico.

Personalmente provo oggi inquietudine nel sentire rappresentanti istituzionali che dovrebbero, almeno in teoria, rispettare la dialettica democratica proporre lo scioglimento d’autorità di questo o di quel partito o movimento politico. Per amore di chiarezza ritengo che una proposta di legge di siffatto tenore possa essere giudicata ripugnante e costituisca indice ed espressione di analfabetismo ed inciviltà giuridica tanto se riferita ad una equiparazione, in termini di divieto normativo, del Partito Comunista al Partito Fascista, quanto se sia rivolta, sulla base della suggestione mediatica prodotta da fatti il cui svolgimento appare ancora del tutto oscuro se non equivoco, ad una forza politica non rappresentata in sede parlamentare.

Concludo osservando come l’espressione delle Idee, così come dei pensieri filosofici che si trasmutano in Ideologie e nelle correnti di pensiero economico che ne conseguono, non possa essere, in un ordinamento giuridico di cui non ci si debba vergognare, inibita da provvedimenti liberticidi di fonte legislativa in quanto la Storia ci insegna che da solo, il Pensiero, senza l’opera molte volte inadeguata ed incoerente svolta dall’Uomo a cui questo si è ispirato, sia del tutto improduttivo di conseguenze dannose.

Chi ha paura delle Idee è interprete autentico della propria inattendibilità e fragilità culturale.

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