Lo ius naturale, ovvero il “diritto naturale” o Giusnaturalismo, è quella dottrina secondo cui esiste una norma universalmente valida e non mutabile. Fondata sull’idea di natura. Caratteristica peculiare di questa norma è la preesistenza alle norme storicamente assunte dal diritto positivo. La norma naturale, secondo i sostenitori di questa corrente filosofica, è l’unica in grado di risolvere le discordie fra gli Stati. Nonchè i disordini politici all’interno di essi.
Il Giusnaturalismo quindi, a differenza del Giuspositivismo (dottrina filosofica secondo cui il diritto positivo è quello valido rispetto al diritto naturale), si adatterebbe meglio alla legge di natura. In quanto non contiene quegli elementi variabili in ogni luogo ed in ogni tempo tipici della norma giuridica.
Il giusnaturalismo è caratterizzato dall’idea che la lex naturalis, o Legge Naturale (Diritto di Natura) è un precetto scoperto dalla ragione. Che vieta all’uomo di fare tutto ciò che può recargli un danno e di utilizzare ogni mezzo per proteggersi.
Hobbes, Locke e Rousseau sono i filosofi più conosciuti dell’epoca moderna ad aver dato una loro concezione della legge di natura e del Giusnaturalismo.
Thomas Hobbes: dalla legge di natura allo stato di natura
Secondo Hobbes l’uomo è un animale spinto dall’istinto di sopravvivenza. Nello Stato di Natura tutti gli uomini hanno gli stessi diritti su qualsiasi cosa. E ingaggiano una guerra in cui tutti combattono contro tutti per sopravvivere. L’uomo, spinto dalla ragione, vuole ritrovare la pace, intesa come sicurezza personale. Questa è la legge di natura primaria che l’uomo tende ad osservare.
La pace è da ritrovare anche con gli altri uomini, e quindi è necessario cedere tutti i diritti a un unico ente (un monarca, un’assemblea di uomini, una persona). Che deve garantire la pace all’interno della comunità. Dunque il diritto naturale precede e fonda quello positivo, ed il potere di quest’ultimo deve essere illimitato, indiviso e privo di vincoli per poter essere efficiente. La legge di natura non è in grado di assicurare la pace tra gli individui all’interno di una comunità (anche se per Hobbes la società è composta da individui, e l’uomo è nato per vivere come singolo individuo).
John Locke
La legge di natura è utile, secondo Locke, per garantire la pace e la conservazione di tutti gli uomini. Secondo Locke bisogna punire i trasgressori della legge naturale. In quanto metterebbero in pericolo la conservazione degli uomini. Tutti possono far osservare questa legge, e nessuno si trova in una posizione di supremazia rispetto agli altri.
Ogni uomo ha la naturale predisposizione alla pace ed alla giustizia. Ma tutto ciò comunque presenta dei limiti. Ecco perché lo Stato di Natura deve essere sostituito con lo Stato di Diritto o Civile. L’unico con delle regole volte a garantire la pace. La famiglia, prima dello Stato, deve essere in grado di costituirsi ed essere autosufficiente. Questo è il pensiero di Locke, secondo cui l’uomo è nato per vivere in società e non come singolo individuo.
Jean Jacque Rousseau
L’uomo in natura è il “buon selvaggio” che viene corrotto dalla società. Quando gli individui hanno iniziato ad essere costretti a vivere in comunità, a seguito dello sviluppo dell’agricoltura e della metallurgia, e di conseguenza della proprietà privata, nascono i conflitti tra chi ha poco e chi ha tanto. Secondo Rousseau il contratto sociale vede il passaggio dallo Stato di natura allo Stato di Diritto. Il contratto sociale è voluto dagli individui più ricchi e potenti. Che sanzionano la proprietà privata, lo stato di fatto, ed istituzionalizzando la diseguaglianza sociale. Rousseau vuole un altro contratto sociale, diverso da questo tipo. In cui l’uguaglianza sociale deve essere garantita all’interno dello Stato di Diritto per mantenere la pace.
Il giusnaturalismo nell’epoca classica
Contrariamente a quanto si possa pensare, già durante l’epoca classica gli antichi filosofi greci e romani iniziano a teorizzare il giusnaturalismo e la legge di natura.
Aristotele, nel Libro V dell’Etica Nicomachea, distingue ciò che è “giusto per natura” e ciò che è “giusto per legge”. È giusto per natura ciò che ha ovunque lo stesso potere e non dipende dall’opinare. E quindi è immutabile. E’ giusto per legge ciò che, in origine, non distingue se è in un certo modo oppure in un altro. Ma la differenza avviene quando il giusto viene riformulato. L’esempio di Aristotele è riportato dalla frase “quando si stabilisce che il riscatto sia due mine, o di sacrificare una capra e non due pecore”. Secondo Aristotele però il giusto per natura non sempre è immutabile, ma alcune cose pur essendo per natura possono cambiare nel tempo (facendo riferimento ai fatti storici ed al rifiuto all’astrattismo ed all’universalismo).
Nell’opera Grande Etica, Aristotele afferma che è giusto per natura ciò che permane nel tempo, ma non è immutabile. In ciò risiede anche la sua teoria dell’essere schiavo per natura, secondo il quale “è naturalmente schiavo” chi è privo di intelligenza. E l’unica virtù è la forza fisica, che lo rende utile alla società. “E’ naturalmente schiavo” anche chi è reso tale dalla società stessa, la quale beneficia delle prestazioni lavorative degli schiavi.
Secondo la Scuola Stoica (fondata dal filosofo politico greco Zenone di Cizio) l’universo è mosso da un princìpio divino ed universale (Lògos), la Ragione. E l’Antica Stoà ha una concezione panteistica in quanto presuppone l’esistenza di un Dio animatore dell’universo e che detta la legge che caratterizza l’esistenza dell’uomo. Questa legge è la ragione.
La legge che disciplina l’universo, secondo gli stoici è piuttosto complessa. L’uomo è parte dell’universo, del cosmo (l’uomo è parte della natura), quindi si tratta di una legge naturale, ma anche fisica (il suo “dover essere) e quindi giuridica o etica. Dunque gli stoici confondono l’aspetto fenomenologico della legge naturale (tutto ciò che avviene secondo la fisica) e l’aspetto deontologico (prescrizione dei doveri).
La natura disciplina sè stessa, è questa la teoria dell’Antica Stoà. Volendo richiamare il Cinismo, la Scuola Stoica sostiene che “vivere secondo natura” è il bene, e secondo il filosofo greco Cleante (esponente importante dello stoicismo) l’uomo deve vivere secondo natura, per poter stare bene. A differenza del Cinismo, per gli stoici la natura secondo la quale deve vivere l’uomo non è animalesca, ma è la ragione.
Nell’antica Roma
Lo stoicismo greco ha anche influenzato filosofi dell’antica Roma come Marco Aurelio, Seneca ed Epitteto. Ma lo stoicismo romano è influenzato dal pensiero di Platone ed Aristotele. Secondo Lucio Anneo Seneca nelle Lettere morali a Lucillo scrive “siamo le membra di un grande corpo. La natura ci ha tratto alla vita stretti da un vincolo di parentela”. Dunque ogni uomo, per il fatto di essere uomo, partecipa all’essenza divina, la quale è unica e immutabile. Questo perché gli uomini sono tutti fratelli, e quindi consanguinei. Anche Epitteto afferma che, in quanto tutti gli uomini vengono da Dio, tutti gli uomini sono fratelli. Nell’opera a sé stesso, Marco Aurelio sostiene che l’uomo è per propria natura e costituzione un animale socievole.
Cicerone nell’opera De legibus ricerca l’origine del diritto, che è intrinseca nella natura dell’uomo e non nella norma positiva. Affermando “la legge è ragione suprema insita nella natura, che comanda ciò che si deve fare e proibisce il contrario. Ragione che, attuantesi nel pensiero dell’uomo, è appunto la legge. É cosa stoltissima considerare giusto tutto ciò che sia stabilito nei costumi o nelle leggi dei popoli, perché unico è il diritto che tiene unita la società umana. Ed unica la legge che ne è fondamento, legge che consiste nella retta norma del comandare e del vietare. E colui che non la riconosce è ingiusto, stia essa scritta in qualche luogo o no”.
Nel terzo libro del De re publica Cicerone, sostenendo con più decisione che la legge della Ragione è l’unica legge uguale in ogni epoca ed in ogni luogo, e che precede la fondazione degli stati e di ogni norma del diritto positivo, si legge che “la vera legge è la retta ragione. In accordo con la natura, diffusa fra tutti gli uomini, immutabile, eterna, quella che chiama al dovere con il suo comando, con il suo divieto distoglie dalla frode. Non è permesso proporre modifiche a questa legge, né è lecito derogare a una qualche sua disposizione. Né è possibile abrogarla interamente, né da questa possiamo essere esentati dal senato o dal popolo. Né questa legge sarà una a Roma, un’altra a Atene, una ora, un’altra in futuro, ma una sola legge terrà unite tutte le genti e in ogni tempo. E sarà uno solo comune guida e signore di tutti, il dio. Lui di questa legge autore, arbitro, giudice. Chi ad essa non ubbidirà, fuggirà se stesso e, poiché ha rifiutato la sua natura di uomo, proprio per questo sconterà le pene più gravi. Anche se sarà riuscito a sfuggire a tutti quelli che comunemente sono ritenuti supplizi”.
Da queste frasi è facile comprendere le concezioni del diritto di natura che storicamente si sono verificate: legge della divinità, legge della natura e legge della ragione. Queste concezioni del diritto di natura sono in linea con il panteismo stoico, e quindi la natura, Dio e la ragione sono la stessa cosa. E chi rifiuterà la legge naturale, rifiuterà la propria ragione, e quindi rifiuterà sé stesso. Questo punto è alla base del giusnaturalismo ciceroniano, ma anche di quello greco-romano.
Il diritto di natura non viene subito dagli individui di una società, e non è una realtà oggettiva. Ma rappresenta la ragione per l’uomo che, come ha scritto Cicerone nell’opera De officiis “regola la vita degli dèi e degli uomini”.