Nei giorni scorsi ho esposto, in forma molto sintetica, il mio pensiero sul “non voto” utile, raccogliendo apprezzamenti ma anche le perplessità di quanti, avendo condiviso la mia stessa stagione politica, si sono stupiti di questa presa di distanza da dinamiche nelle quali un tempo mi riconoscevo.

Brevemente, nel mio precedente scritto, consideravo come in assenza di un partito politico portatore di un sistema valoriale tradizionale proprio di una Destra non liberale la scelta dell’astensione potesse essere quella maggiormente corretta tra quanti in quel sistema valoriale continuavano ad identificarsi. In particolare, negli ultimi decenni abbiamo assistito ad uno stravolgimento del sistema della democrazia rappresentativa in quanto i seggi parlamentari sono stati prevalentemente attribuiti a persone che erano nelle grazie di questa o di quella segreteria (o Segretario) di Partito anziché per ragioni di merito personale.

Questa situazione, generata da una mutata legge elettorale che ha mortificato il principio della proporzionalità pura nel rapporto tra numero di voti conseguiti e quello di seggi attribuiti, ha consentito a talune giovani e graziose signore inclini alle genuflessioni non mistiche di trovarsi a ricoprire ruoli istituzionali di importante rilevanza oppure a “yes-men” privi di cultura e prestigio sociale, inidonei a gestire le loro inutili vite, ad essere investiti di funzioni e decisioni strategiche i cui effetti hanno coinvolto l’intera popolazione.

In breve, mentre in passato chi aveva ambizioni politiche doveva conquistare il consenso elettorale “sul territorio” raccogliendo le preferenze del corpo elettorale in ragione dei propri meriti personali oggi i collegi elettorali “sicuri”, ovvero quelli in cui l’elezione è scontata, vengono riservati ad una pletora di omuncoli e donnine, scodinzolanti servitori delle segreterie dei partiti che, nella vita privata precedente, svolgevano nella loro quasi totalità funzioni socialmente irrilevanti se non addirittura imbarazzanti. Attraverso questa illogica dinamica è stato non occasionale trovare, a titolo meramente esemplificativo, un ex disk jockey ad assolvere funzioni di Guardasigilli, un ex venditore ambulante di Ministro degli Esteri, od una persona priva di cultura scientifica a ricoprire un ruolo delicato come quello della gestione del Dicastero della Sanità. Ed ancora, l’assenza di un vincolo di mandato ha consentito, attraverso clawnesche e poco dignitose contorsioni logiche, ad ex “sovranisti” di assolvere alla funzione di “stampella” di un Governo presieduto dall’ex Presidente di una banca centrale incaricato dall’Unione Europea del commissariamento di quanto resta del nostro Stato Nazionale, giungendo al punto di operare un recente “endorsement” politico a suo favore per la carica di futuro Presidente della Repubblica.

Pare di solare evidenza come attraverso l’esercizio del diritto di voto sia ormai impossibile tanto scegliere un programma politico coerente con il proprio pensiero quanto scegliere candidati adeguati sotto un profilo meritocratico, quanto ancora condizionare i propri rappresentanti nell’esecuzione del mandato ricevuto. Tutto ciò premesso, svilupperei quindi una breve analisi dell’istituto dell’astensione elettorale e della sua rilevanza in termini di effetti sociali in quanto, per difetto di conoscenza di questo fenomeno sociologico, vi è la tendenza a banalizzarlo associandolo a fenomeni di anarchismo individuale.

L’Astensionismo dei giorni nostri, lungi dall’essere una reazione sterile ed improduttiva di conseguenze, deve invece essere intesa come una strategia politica ragionata, da intendersi come il voto di chi non vota, ovvero non più un “astensionismo da alienazione” ma un ben differente “astensionismo d’opinione”. Il non voto diviene dunque un consenso esplicitamente negato, una affermazione popolare di vera e propria ostilità nei confronti della politica contemporanea percepita come inaffidabile ed inidonea a recepire le richieste della società civile, ma di portata e natura prettamente politica.

L’Astensionismo diviene dunque di natura strategica quando vuole operare un temporaneo “scollamento” di un elettorato insoddisfatto dall’offerta politica finalizzato ad un suo ricompattamento nell’alvo di un nuovo e costituendo soggetto politico destinatario delle aspettative di un corpo elettorale deluso. Sotto un profilo giuridico va indicato che in generale è legittimo l’ invito ad astenersi poiché ciò rientra nella più ampia manifestazione del pensiero garantita dall’art. 21 della Carta Costituzionale. Tuttavia tale libertà non vale, ai sensi l’articolo 98 del Testo Unico elettorale che sanziona l’induzione all’astensione con una pena detentiva da sei mesi a tre anni per “il Pubblico Ufficiale, l’incaricato di un pubblico servizio, il ministro di culto che abusando delle proprie attribuzioni e nell’esercizio di esse” si adoperano a costringere gli elettori a firmare una dichiarazione di presentazione di candidati od a vincolare i suffragi degli elettori, od ancora ad indurli all’astensione”.

Ne consegue che l’invito all’astensione, al di fuori di queste ipotesi ristrette e specificamente previste dalla norma, pare essere del tutto insindacabile. Gioverà ancora ricordare come l’astensione dal voto politico, originariamente sanzionata con l’iscrizione nel certificato di buona condotta, dal 1993, con l’abrogazione della norma che la prevedeva costituisca oggi un comportamento assolutamente lecito. Possiamo quindi concludere osservando come le categorie concettuali del passato che identificavano come utile la partecipazione al voto ed inutile l’astensione da esso siano ormai superate da un contesto globale che vede nel voto una mera funzione di ratifica dello status quo e nelle pseudo opposizioni forze vassalle coessenziali al sistema.

Il coagulo di componenti civicamente sane ed omogenee che sapranno riconoscersi dapprima in una volontà di differenziazione dalla massa inerte e successivamente in un comune sistema valoriale poco incline alla monetizzazione della vita e delle coscienze consentirà la costituzione di un nuovo soggetto politico meritevole di essere, in futuro, votato.

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