(Adnkronos) – E’ arrivato un provvedimento che fa giustizia in una storia che si trascinava da troppi anni. A Suada Hadzovic, trentatré anni vissuti tutti in Italia fin dalla nascita, un decreto del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno ha riconosciuto lo status di apolide. Una conquista, quella attestata nel documento che porta la data del 9 dicembre in possesso dell’Adnkronos, che la libera da una condizione di surreale costrizione, di fatto ostaggio del Paese in cui è nata e cresciuta perché impossibilitata ad avere un documento, il passaporto o anche solo la carta d’identità valida per l’espatrio. La storia di Suada era stata denunciata dall’agenzia di stampa più di un anno fa, a novembre 2024, evidenziando le conseguenze grottesche di un ‘buco’ di legislazione in cui è finita per la sola ‘colpa’ di un percorso di vita difficile, complicato ulteriormente dal cortocircuito di una burocrazia che ha prodotto un evidente paradosso. Oggi, il provvedimento amministrativo che le restituisce la libertà.  

 

Suada Hadzovic nasce ad Albano laziale il 21 ottobre 1992, da due genitori stranieri di origini slave ma anche loro nati in Italia. Il padre, nato il 10 ottobre 1975 sempre ad Albano laziale e di nazionalità serba, muore il 16 ottobre del 2000, quando Suada ha 8 anni. La madre, sempre di nazionalità serba e nata a Torino il 29 luglio del 1975, decide alla morte del padre di affidare Suada a una casa famiglia, la Comunità 21 marzo di Terracina. Da questo momento, entra in gioco come tutrice legale un assistente sociale. Quando ha 14 anni, Suada viene trasferita in un’altra casa famiglia, la Comunità Domus Bernadette, a Roma. 

 

Al compimento del diciottesimo anno di età, in base alla legge 91 del 5 febbraio del 92, Suada avrebbe avuto il diritto di diventare cittadina italiana presentando una semplice dichiarazione di volontà all’Ufficio di Stato Civile del comune di Roma. Il problema è che il Comune di Roma non manda la relativa comunicazione nei sei mesi precedenti, come avrebbe dovuto fare in base all’art. 33 della legge 98/2013, e la tutrice legale non informa Suada di questa possibilità. La conseguenza è che al compimento del diciannovesimo anno di età la ragazza perde il diritto alla cittadinanza. Nel 2010 Suada ottiene il suo primo permesso di soggiorno in cui viene erroneamente indicata la cittadinanza serba, deducendola evidentemente dalle origini dei genitori. E qui c’è l’altro snodo chiave della vicenda. Perché la Serbia, come risulta dalla comunicazione ufficiale dell’Ambasciata serba in Italia, dichiara esplicitamente che Suada Hadzovic non è cittadina serba. Del resto, non ha mai messo piede in Serbia ed è vissuta in Italia fin dalla sua nascita.  

 

Nel corso degli anni, Suada e i legali ai quali si è rivolta tentano diverse strade, incluse la richiesta di cittadinanza per residenza e la richiesta dello status di apolide. Ma tutte le istanze si infrangono su sentenze di Tribunale che non indicano mai una soluzione al problema. “Fatto sta che mi ritrovo a 32 anni prigioniera di un Paese, in cui sono nata e in cui vivo da sempre, che non mi riconosce come cittadina e che sostiene io sia cittadina di un altro Stato in cui non ho mai messo piede”, sintetizzava con amarezza un fa, in attesa di rivolgersi al prossimo legale e di fare l’ennesimo tentativo per uscire dalla sua condizione di ostaggio. Diventata adulta, con un compagno e un figlio italiani, rimane senza nazionalità e senza cittadinanza, priva di passaporto e con una carta d’identità che continua a recitare la dicitura ‘non valida per l’espatrio’. Da oggi, però, lo status di apolide libera Suada Hadzovic dalla sua condizione e le restituisce, finalmente, il diritto a muoversi anche fuori dall’Italia. (Di Fabio Insenga) 

 

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