Alla morte del padre, quattro anni fa all’ospedale Molinette di Torino, la figlia si impossessò della sua fede nuziale per tenerla come ricordo. Scatenando una vera e propria guerra a colpi di carte bollate con la madre, che la voleva per sé.

Il tribunale civile del capoluogo piemontese ha però dato torto a quest’ultima. Che, oltre alla restituzione dell’anello, aveva chiesto alla figlia un risarcimento di 50 mila euro da donare in beneficienza.

La promessa fatta nel giorno del matrimonio con lo scambio degli anelli “seppur avente la funzione simbolica di segno di amore e fedeltà di ciascun coniuge verso l’altro – scrive il giudice Francesco Moroni nelle motivazioni – passa nella sfera patrimoniale della persona che lo riceve”. La fede diventa insomma un bene come un altro, tanto che il defunto “per assurdo, potrebbe anche disporne, in vita ed in costanza di matrimonio, a favore di persone diverse dall’altro coniuge”.

La vedova non ha quindi un diritto esclusivo su quell’anello, che pure porta il suo nome, come tradizione. “Per quanto la fede nuziale rappresenti l’unione tra due sposi (senza riferimenti ai figli), non è un bene che di diritto appartiene alla vedova, che non può chiederne la restituzione e nemmeno il risarcimento”.

La donna, secondo il giudice, per riaverlo avrebbe dovuto “esperire un’azione di petizione ereditaria”. Difficile, in quanto tra le due donne è in corso anche una disputa sul testamento dell’uomo.

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