(Adnkronos) – Attenzione al paziente, allargando la prospettiva di cura a nuove condizioni oncologiche e oltre i 70 anni, ma anche una cura speciale al donatore, per "rendere l'intervento più semplice e facilitare la possibilità di dare nuova speranza" di vita grazie alla "tecnologia" e al "fattore umano". Così Padova festeggia 30 anni di trapianti di fegato. "In realtà sono 34 anni", visto che "il primo trapianto è stato fatto nel 1990, ma il Covid ci ha impedito di festeggiarli nel 2020. Allora abbiamo atteso, ma celebriamo il traguardo con 2.500 trapianti, di cui 200 pediatrici, perché quello di Padova", tra i primi al mondo per innovazione e ricerca, "è uno dei 5 centri italiani che intervengono anche nei bambini dai 30 giorni di vita, fino ai 18 anni". Così Umberto Cillo, direttore dell'Uoc Chirurgia epato-bilio-pancreatica e dei trapianti di fegato, Aou Padova e segretario generale dell'Esot, la Società europea dei trapianti d'organo, commenta all'Adnkronos il traguardo che vedrà il culmine dei festeggiamenti il prossimo 3 aprile, in occasione della Giornata del trapiantato, con l'incontro 'Inno alla donazione – 30 anni di trapianti di fegato a Padova', realizzato in collaborazione con l'associazione '30 nodi per il fegato' e rivolto ai pazienti sottoposti a trapianto e ai loro familiari, per sensibilizzare alla salute e alla donazione degli organi. Previsto anche uno spettacolo-concerto dei Summertime Choir. Difficile sintetizzare una storia così ricca di primati. "In questi giorni – racconta Cillo – è venuto a trovarmi un ragazzo di 26 anni che non ho riconosciuto. Mi ha detto 'sono stato trattato qui quando avevo 2 anni, dopodomani mi laureo in Medicina'. Questo è il motore di un lavoro impegnativo, che richiede passione" per raggiungere alti traguardi. "Nel 1997 – ricorda lo specialista – abbiamo fatto il primo trapianto di fegato da vivente in Italia, sulla base del quale, poi, la ministra" della Salute "Bindi ha promulgato la legge sul trapianto di fegato da vivente. Nel 2007 abbiamo portato a termine il primo trapianto ausiliario d'Italia, cioè un fegato donato a fianco del fegato ammalato, tecnicamente molto complesso. Successivamente, nel 2011 abbiamo fatto il primo autotrapianto di fegato a livello nazionale, cioè il fegato di un paziente inoperabile è stato tolto dal corpo, ripulito del tumore sul banco e poi reimpiantato. Un altro primato è stato raggiunto con l'autotrapianto in macchina da perfusione: il fegato fuori dal corpo non è stato soltanto raffreddato a 4 gradi, ma anche perfuso con una macchina, tecnica molto sofisticata, per migliorarne la funzionalità una volta reimpiantato". "Nel 2017 – continua Cillo ripercorrendo i traguardi del centro patavino – abbiamo fatto il primo trapianto ausiliario in due tempi: si chiama tecnica Rapid e ci sono solo 20 casi eseguiti nel mondo. In questo caso c'è un piccolo frammento di fegato, prelevato da donatore vivente, che viene impiantato a fianco del fegato ammalato e viene fatto rigenerare in 15 giorni. Quando ha raggiunto un volume sufficiente alla sopravvivenza, si completa l'intervento asportando il fegato malato. Questa tecnica si chiama Rapid perché prevede una rapida rigenerazione di questo piccolo frammento". Normalmente si deve donare il 65% del fegato, ma questa tecnica", prelevando e impiantando un frammento, "permette al donatore di avere una rigenerazione completa dopo 30 giorni. L'obiettivo è minimizzare l'intervento per far decollare la donazione da vivente, attualmente ferma all'1% dei casi di trapianto di fegato. Nel 2022 – prosegue l'esperto – abbiamo fatto il dual liver, cioè il primo trapianto d'Italia da due donatori viventi. Si parte sempre dal principio di ridurre al minimo il rischio del donatore, ma per ottenere una massa di fegato sufficiente si deve prendere un frammento da due persone. Questa è stata una tecnica che non si fa praticamente da nessuna parte in Europa". Ormai "abbiamo aperto la donazione" a qualsiasi tipo di donatore: "Il più anziano aveva 92 anni; il primo caso al mondo con un donatore a cuore fermo da 20 minuti, una cosa mai accaduta". Ma anche per chi deve ricevere un fegato nuovo l'età si è spostata a "oltre 70 anni, perché grazie a un team di gerontologi possiamo definire l'età biologica e in molti casi si hanno condizioni fisiche buone. E' una delle due direttrici su cui si muove il nostro centro – illustra Cillo – L'altra è il trapianto per tumore maligno, in particolare metastasi da tumore del colon e da colangiocarcinoma, un tumore epatico, che sono indicazioni molto nuove. Il 50% dei trapianti è infatti indicato in caso di tumore primitivo al fegato, epatocarcinoma, ma stiamo appunto ampliando la platea dei pazienti oncologici, chiaramente super selezionati, che hanno solo metastasi al fegato e che abbiano bene risposto alla chemioterapia. Con questi nuovi protocolli diamo una chance in più. Ci sono 25mila nuovi casi di metastasi da tumore del colon in Italia: non tutti sono da trapiantare, forse uno su mille, ma è un'apertura non pensabile fino a pochi anni fa". Le indicazioni al trapianto di fegato stanno cambiando anche in base all'evoluzione negli stili di vita. "La cirrosi alcolica – osserva lo specialista – oggi interessa meno del 20% dei trapianti; è praticamente sparita l'indicazione per epatite C e B, grazie a nuovi farmaci, mentre l'epatocarcinoma interessa il 50% dei casi. Cresce la richiesta in seguito alla sindrome metabolica, condizione sempre più spesso legata all'obesità, in cui l'infiltrazione grassa del fegato porta alla cirrosi e quindi al tumore". L'evoluzione del trapianto di fegato ha bisogno di "meno burocrazia, ma anche di una legge sulla privacy che faciliti la ricerca e maggiori finanziamenti in tecnologia. Dalla robotica, per esempio, ci attendiamo molto, ma mancano le macchine, abbiamo il robot a disposizione solo una volta alla settimana". La tecnologia avrà un ruolo centrale anche nel trapianto d'organo. "Ogni trapianto – spiega Cillo – richiede 2 équipe e mette in moto un centinaio di persone, a cui va sempre la mia gratitudine per la dedizione e la generosità". Guardando al futuro prossimo, sottolinea, "avremo ancora bisogno di donatori. La medicina rigenerativa sta facendo salti da giganti con delle stampanti 3D che producono degli orgnaoidi, ma non è una soluzione dietro l'angolo. Il fegato ha una complessità strutturale che non è quella del rene o del muscolo cardiaco: il fegato è una struttura molecolare di alta complessità. Infatti a differenza di cuore, polmoni e reni, non ci sono macchine che possono sostituire la funzionalità del nostro motore metabolico coinvolto in una serie di reazioni chimiche che supportano ogni singola attività dell'organismo. Per questo abbiamo bisogno di donatori e per questo lavoriamo per rendere meno invasiva e più facile la donazione: il fegato – ricorda lo specialista – si rigenera". —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)