(Adnkronos) – Mimosa? No grazie. Il fiore che da quasi 80 anni è il simbolo nazionale dell'8 marzo – scelto nel 1946 dall'Unione donne italiane perché 'di stagione' e alla portata di tutte le tasche, in un Paese impoverito dalla guerra – non è per tutti. Qualcuno lo soffre e non sono proprio pochissimi: se è vero che "l'allergia alla mimosa, rispetto a quella scatenata da altri pollini, è in realtà abbastanza rara", stando a "dati in larga parte italiani, dell'area ligure, la stima è che intorno all'1% degli allergici respiratori patisce anche il polline di mimosa. Una percentuale che sale fino al 30% circa, a seconda delle statistiche e delle aree del mondo, fra i lavoratori florovivaisti". Lo spiega all'Adnkronos Salute Enrico Heffler, direttore della Scuola di specializzazione in Allergologia e Immunologia clinica di Humanitas University.  In occasione della Giornata internazionale della donna, l'esperto dell'ateneo milanese fa il punto su un disturbo che il riscaldamento globale sembra destinato ad allungare, anticipando le fioriture anche di un mese. E che paradossalmente potrebbe interessare soprattutto l'universo 'rosa': "Tra chi soffre di allergie respiratorie", non in modo specifico di allergia alla mimosa, ma di pollinosi in generale, "i maschi sono più numerosi in età pediatrica. Ma in età adulta – precisa Heffler – le donne sono nettamente prevalenti". I sintomi sono "quelli classici delle allergie respiratorie: rinite, congiuntivite ed eventualmente asma", nei casi più gravi.  In gergo allergologico, l'intolleranza alla mimosa viene definita 'pollinosi da vicinanza'. Significa che, perché i disturbi si manifestino, il fiore bisogna averlo praticamente in mano oppure attorno in grande quantità. "Il polline della mimosa, pianta della famiglia delle acacie – illustra lo specialista Humanitas – è infatti un polline particolarmente pesante, che in quanto tale non viene facilmente aerodisperso", cioè non vola. Accade con tutte le piante, specialmente da fiore, la cui impollinazione (denominata entomofila) per il trasporto del polline sfrutta gli insetti invece del vento (impollinazione anemofila). "Quella alla mimosa è dunque un'allergia che colpisce prevalentemente chi questa pianta la coltiva o la vende: gli operatori florovivaisti, appunto, per i quali può essere una malattia professionale", evidenzia Heffler. "Difficilmente, poi – continua l'esperto – la mimosa è una pianta che dà allergia da sola: chi diventa allergico al polline della mimosa solitamente lo è anche ai pollini di altri alberi che più o meno fioriscono nello stesso periodo, tendenzialmente da febbraio ad aprile-maggio". Fra tutti "la betulla o il nocciolo", che producono pollini certamente più diffusi rispetto a quello di mimosa e "con caratteristiche di volatilità completamente diverse. Dal punto di vista molecolare, delle proteine che contengono, sono molto simili a quelli di mimosa. Però a livello macroscopico sono tanto più leggeri e quindi vengono dispersi nell'aria". Ecco perché per soffrire di allergia alla betulla, ad esempio, non è necessario 'annusarla', ma "basta vivere in una città in cui ce ne sono anche poche".  Per la mimosa invece no, "serve vicinanza. Sempre per le caratteristiche chimico-fisiche del suo polline – aggiunge Heffler – chi è esposto alla mimosa solitamente lo è a concentrazioni alte. E come per tutte le allergie, se l'esposizione all'allergene è massiva, i sintomi possono essere più marcati". Trattabili come si fa in generale per le altre pollinosi, con antistaminci, cortisonici o broncodilatatori, attenendosi alle indicazioni del medico. "Un altro elemento interessante che emerge sempre da dati liguri – segnala l'allergologo – è che per il cambiamento climatico il periodo di impollinazione della mimosa si è allungato. Se nel corso dell'anno le temperature si riscaldano più precocemente, la pianta può fiorire magari a gennaio, invece che a metà febbraio". Causa climate change, insomma, l'8 marzo degli allergici alla mimosa rischia di durare mesi. —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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