Si avvia alla conclusione in Tribunale a Cuneo il processo relativo all’operazione “Nero Wolf”. Procedimento che trae la sua origine da un’indagine avviata dai Carabinieri Forestali nel 2016. Gli inquirenti avevano ricevuto segnalazioni da parte di tre privati, che nell’anno precedente avevano acquistato altrettanti cani di razza Cavalier King presso un allevamento di San Pietro del Gallo a Cuneo.

Imputati al processo sono il proprietario dell’allevamento ungherese, D.M., da cui venivano i cuccioli, e C.B., il proprietario di un capannone a San Pietro del Gallo. Dove gli acquirenti si erano recati per acquistare i propri cuccioli che però, secondo l’accusa, erano entrati illegalmente in Italia. A lui erano inoltre stati contestati i reati di frode in commercio, esercizio abusivo della professione e riciclaggio.

Traffico di cuccioli, le indagini

Tutta l’inchiesta era partita da alcuni acquirenti che avevano denunciato le cattive condizioni di salute dei cuccioli e si era estesa anche ad una veterinaria. La stessa aveva scelto il patteggiamento, nel cui studio medico erano state trovate 167 schede anagrafiche bianche, con la sua firma, associate all’allevamento di C.B. Era stata la segretaria dello studio a dichiarare al giudice che spesso veniva C.B. a prelevare le siringhe per inoculare il microchip, attività che avrebbe dovuto eseguire il veterinario.

In aula sono stati chiamati a testimoniare tutti e 42 i proprietari dei cani di razza Cavalier King, Bulldog francese e Chow Chow. Su cui gli inquirenti avevano eseguito il prelievo del pelo, e da cui era emerso che non c’era riscontro genetico tra quei cuccioli e le femmine adulte presenti nella struttura e che C.B. spacciava come madri. Tutti i clienti pagavano il proprio cucciolo in contanti senza alcuna ricevuta fiscale.

Secondo le ricostruzioni degli inquirenti sentiti come testimoni nel corso della corposa istruttoria, i cuccioli sarebbero stati prelevati dall’Est Europa e, attraverso l’intermediazione di D.M., condotti clandestinamente in Italia da C.B. Dopodiché venivano messi sul mercato a prezzi particolarmente convenienti.

Le vere origini dei cuccioli sarebbero state omesse attraverso la falsificazione dei documenti. Molti animali si ammalavano o morivano durante il viaggio: conseguenze date sia dalle condizioni di trasporto che dai pochi giorni di vita di alcuni. Una sessantina di cuccioli, sequestrati prima di essere venduti, erano stati affidati dall’autorità giudiziaria alla Lida, che si è occupata di portare a termine le adozioni. La stessa Lida è parte civile nel processo insieme ad altre due associazioni animaliste, Nogez e Anpana.

Il processo

Il procuratore Onelio Dodero ha chiesto al giudice Giovanni Mocci la condanna di entrambi gli imputati: per C.B. 3 anni e 6 mesi di reclusione, mentre per D.M. 11 mesi di carcere e 12mila euro di multa.

Le difese degli imputati, rappresentate dagli avvocati Luciano Paciello per C.B. e Michela Giraudo per D.M., hanno invece chiesto l’assoluzione. Entrambi i difensori sostengono che a carico dei loro assistiti non vi siano prove di colpevolezza.

L’11 luglio prossimo le repliche e la sentenza.

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