(Adnkronos) – La sostenibilità non può essere più esclusa dai bilanci delle aziende, piccole o grandi che siano. Il Consiglio dei ministri del 23 dicembre 2016 aveva approvato definitivamente il provvedimento che recepiva nell'ordinamento italiano la direttiva 2014/95/UE sull'informazione non finanziaria e da allora, l’obbligo per alcune categorie di imprese è diventato sempre più stringente in termini di tempo. A rendersene conto è circa il 60% dei dirigenti d’azienda, a livello globale, anche se ancora, solo il 24% considera che i costi delle iniziative di sostenibilità superino i benefici apportati dalle stesse. Questo è quanto è emerso dal report Capgemini Research Institute, “A World in Balance”. I dati dimostrano quindi un cambio di tendenza relativo alla percezione che le aziende posseggono rispetto alle tematiche legate a questo mondo, ma lo stesso non si può dire per gli aumenti degli investimenti. Anche la dimensione sociale sta raggiungendo il suo picco di attenzione con oltre la metà dei dirigenti che sostengono di star mettendo in atto delle pratiche volte al miglioramento degli obiettivi nei campi Esg. È bene sottolineare una prima differenza tra il bilancio di sostenibilità e la dichiarazione non finanziaria, in quanto il primo si concentra sulla relazione con gli stakeholder, mentre la DNF ha come obiettivo principale quello di attrarre dei capitali per nuovi investimenti. Tale reporting si basa sui nuovi principi di rendicontazione di sostenibilità. Primo fra tutti è quello della rilevanza in una doppia prospettiva: da un lato l'impatto sugli attori coinvolti e dall'altro, un bilancio finanziario. Con il termine "rilevanza dell'impatto" si fa riferimento al riflesso dell'azienda verso l'esterno e quindi, appunto, l'impatto che essa ha su i suoi principali portatori di interesse. Con il termine "rilevanza finanziaria" si intende, invece, l'“outside-in” ed è più simile ad un bilancio di impresa. Un’informazione è da considerare rilevante e sarà parte del report se dal punto di vista finanziario la sua omissione o errata indicazione può influenzare le decisioni dei fruitori dell’informativa d’impresa comportando effetti finanziari rilevanti sulla stessa. In tal caso, occorre valutare rischi o opportunità che scaturiscono da questioni di sostenibilità e che potrebbero impattare sulla situazione patrimoniale-finanziaria, sul risultato economico e sui flussi finanziari dell’impresa. Gli attori coinvolti sono principalmente i portatori di interesse, appunto, quali lavoratori, fornitori, consumatori, comunità e autorità, oltre che il coinvolgimento dei fruitori del reporting di sostenibilità. Gli ambiti da trattare per legge nella Dichiarazione non finanziaria sono almeno 5: 1. Environment: analisi in termini di utilizzo delle risorse energetiche e idriche, rinnovabili e non, di emissioni di gas serra e inquinanti; 2. Social: tratta il modus operandi aziendale in materia di salute e sicurezza, rischio sanitario e altre tipologie di pericoli. Si parla anche di strategie di sviluppo sociale e culturale dei territori in cui opera l’azienda; 3. Gestione del personale: in questa parte vengono illustrate le iniziative atte a contrastare lo sfruttamento del lavoro minorile e del caporalato, a migliorare l’ambiente di lavoro e a garantire inclusione e parità di genere; 4. Diritti umani: l’azienda espone in questa parte le azioni attuate contro la violazione dei diritti umani o eventuali discriminazioni; 5. Anticorruzione: qui vengono segnalati gli strumenti che l’impresa mette in campo per sconfiggere la corruzione attiva e passiva (commessa da e contro l’azienda). Dal report è emerso un divario tra la percezione dei dirigenti e quella dei consumatori rispetto ad un tema che è sempre più diffuso e che riguarda il greenwashing. Il 33% dei consumatori a livello globale, infatti, considera questa attività come parte integrante dell’approccio sostenibile delle aziende e solo il 17% dei dirigenti pensa che ciò sia una percezione dei consumatori. I più preoccupati di questo fenomeno sono i giovani della Generazione Z, scettici al 50%. Per capire con un esempio il fenomeno della percezione del greenwashing vediamo il caso del Boeing 787 Dreamliner gestito da Virgin Atlantic e decollato dall'aeroporto londinese di Heathrow, direzione New York. Si tratta di un volo alimentato da SAF (Sustainable Aviation Fuel): quello che si auspica possa essere in qualche modo il futuro dei voli. SAF è il termine generico per tutti i carburanti per aviazione prodotti senza l'utilizzo di materie prime fossili, come petrolio o gas naturale. Il SAF è una soluzione tecnologica fondamentale per voli più sostenibili ed è essenziale per la transizione energetica nel settore dell'aviazione. Ma l’industria dell’aviazione è sotto pressione da parte di numerosi ambientalisti per i danni causati all’ambiente. Questo volo è stato considerato appunto “greenwashing” proprio per la volontà di far percepire un modo diverso di affrontare i voli e le conseguenze alla salubrità dell’aria e alle quantità di emissioni. Dal momento che i criteri ESG pesano in modo sempre più rilevante sulla percezione del valore di un’azienda e sui suoi risultati di business, la DNF si inserisce in questo ambito fotografando la strategia messa in campo dall’azienda per gestire in modo efficace, inclusivo e circolare le problematiche di impatto sociale ed etico. Lo scopo è quello di spiegare in modo dettagliato le politiche adottate sulla sicurezza e la salute (pubblica e dei propri collaboratori), l’ambiente, il rispetto dei diritti umani e la lotta alla corruzione. Non si tratta, quindi, solo di un modo per “lavar via” gli eventuali danni, consapevoli e non, causati all’ambiente, ma riguarda un dovere che viene richiesto alle aziende e ai governi per la salvaguardia dell'equilibrio del Pianeta. —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)