(Adnkronos) – "L'epidemioloiga delle endocarditi è cambiata negli ultimi 30 anni, questo ha portato una maggiore ricerca e l'interesse scientifico sui criteri diagnostici e sugli strumenti terapeutici, dal farmaco alla cardiochirurgia. Se un tempo la malattia colpiva prevalentemente giovani pazienti con pregressa febbre reumatica, il paziente che ad oggi ci aspettiamo di curare è un malato con plurime comorbidità, con una cardiopatia, portatore di protesi valvolari o device intracardiaci. Per questi motivi, la prevenzione, la diagnosi e la cura dell’endocardite infettiva non possono prescindere da un approccio multidisciplinare e multimodale". Lo spiega all'Adnkronos Salute Maria Chiara Gatto, dirigente medico specialista in Cardiologia dell'Inmi Lazzaro Spallanzani e dell'ospedale S.Eugenio-ASL Roma 2, che ha curato il seminario 'Endocardite Infettiva Up to Date 2024' che si è svolto allo Spallanzani.  "L'endocardite è considerata una patologia rara ma lo è perché non possiamo mettere insieme tutti i pezzi del puzzle – avverte – molto frequentemente ha fattori predisponenti, l'indicazione deve essere quella di andare ad osservare il quadro clinico globale e i fattori di rischio, e poi usare tutte le metodiche che oggi abbiamo a disposizione da quelle diagnostiche a quelle di laboratorio". L'evento romano ha fatto il punto sulle nuove linee guida della Società europea di cardiologia. Nel 2019, è stata stimata un’incidenza annuale di endocardite infettive di 13.8 casi per 100.000 soggetti con 66.300 decessi in tutto il mondo imputabili all'endocardite.  "Il crescente utilizzo di strumenti per la diagnosi ha fatto sì che negli ultimi anni emergessero più casi rispetto al passato – ha ricordato Gatto – I pazienti con emocolture positive per Enteroccus faecalis, Staphylococcus aureus o streptococchi è probabile che siano stati sottoposti più frequentemente ad esame ecocardiografico considerando l’aumentato rischio associato di endocardite. Inoltre, la tomografia computerizzata e le tecniche di imaging nucleare hanno contribuito ad incrementare il numero di casi accertati, in particolare nei pazienti portatori di protesi valvolari o dispositivi cardiaci impiantabili".  Per la gestione (prevenzione, diagnosi e cura) di questa patologia è sempre più importante negli ospedali il ruolo dell'endocarditis team. "Il primo passo è identificare i pazienti nelle categorie ad alto rischio di endocarditi: chi l'ha già avuto, pazienti con con protesi valvolari impiantate chirurgicamente o per via transcatetere; i pazienti con cardiopatie congenite; immunodepressi; dializzati, abuso di sostanze endovenose", evidenzia la cardiologa. "Il lavoro multidisciplinare è quindi fondamentale – prosegue – Parliamo di una patologia che richiede questo tipo di approccio in considerazione della varietà di scenari in cui si manifesta". —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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