Nel 1630, Giovanni Francesco Fiocchetto, medico di corte e medico personale del Duca Emanuele Filiberto faceva rientro a Torino flagellata dal morbo della peste.

Fiocchetto era il medico più importante di tutto il ducato, eppure con grande senso del dovere e non comune coraggio, si mise al servizio della sua comunità. Visitava i pazienti, stilava protocolli sanitari per evitare il contagio e obbligava i suoi colleghi (con l’aiuto dei gendarmi) a fornire cure ed assistenza ai malati.

Il medico del Duca ed il sindaco della città, Bellezia, rimasero al fianco dei torinesi nell’anno drammatico della peste, facendo il loro lavoro ed evitando che la città sprofondasse nell’anarchia.

Era sempre il 1630 quando a Milano, nel pieno diffondersi della peste, si celebrò il processo a Guglielmo Mora e Gian Giacomo Piazza accusati, ingiustamente, di essere untori e diffusori del morbo. La storia dei due poveri disgraziati milanesi è stata raccontata da Alessandro Manzoni nel saggio “La storia della colonna infame”, che rimane una delle pietre miliari della letteratura contro la pratica della tortura.

Le storie di Fiocchetto, Bellezia e degli “untori” milanesi ci insegnano che nel XVII secolo, nel pieno diffondersi della peste che ha ucciso il 40% della popolazione residente nelle città, i servizi essenziali quali la sanità e la giustizia rimanevano perfettamente funzionanti.

Persino le Chiese erano rimaste aperte. Mai, prima del coronavirus, il clero aveva accettato il divieto a celebrare messa.

Nell’Italia del XXI secolo abbiamo negato cure ai malati (eccetto quelli di coronavirus), rinviato interventi, sospeso le visite psichiatriche e le sedute psicoterapeutiche.

Per paura del contagio abbiamo chiuso ambulatori e tenuto a casa migliaia di medici, che a mio avviso avrebbero dovuto pretendere di non abbandonare i propri pazienti.

Non parliamo poi del settore giustizia, in cui la chiusura è stata pressoché integrale ed ancora oggi la ripresa della normalità appare un miraggio.

Abbiamo milioni di dipendenti pubblici a casa, in “lavoro agile” o più semplicemente a far niente. Si potrà dire che sono in “buona” compagnia con i milioni di lavoratori del settore privato in cassa integrazione, con la piccola differenza che i dipendenti pubblici lavorano, o hanno lavorato, un terzo del normale percependo lo stipendio integralmente, mentre nel settore privato la cassa integrazione ha significato sensibili decurtazioni sul reddito.

Questa disparità di trattamento appare, francamente, ingiusta ed illogica.

Per non parlare, poi, delle scuole ancora chiuse e su cui il governo sta dando prova di tutta la sua incapacità. Le scuole devono riaprire ed il personale docente deve tornare a svolgere la propria funzione. Non è più accettabile la sospensione della didattica

La macchina pubblica deve rimettersi in carreggiata così come, con grande fatica, stanno provando a fare le imprese private. Bisogna tornare a garantire i servizi con efficienza abbattendo i tempi di attesa e garantendo una qualità consona ad una Repubblica che, governo Conte permettendo, è e rimane la seconda manifattura d’Europa ed una delle nazioni leader nel mondo.

Rispondi