Era la notte del 16 Aprile 1973 nel quartiere popolare romano di Primavalle, quando tre militanti di potere operaio partirono per minacciare Mario Mattei. Un ex netturbino e segretario del Movimento Sociale Italiano della sezione Girabub di Primavalle.

Verso le 3 del mattino i tre militanti di sinistra, nel tentativo di dare fuoco alla porta d’ingresso della casa della famiglia Mattei, versarono 5 litri di benzina. Si verificò uno scoppio dovuto ad un innesco artigianale.
L’incendio divampò in un attimo, Mario, la moglie e i 4 figli riuscirono a mettersi in salvo. Mentre Virgilio e Stefano rimasero intrappolati nelle fiamme. Morirono Virgilio, di 22 anni, militante missino nel corpo paramilitare dei Volontari Nazionali, e Stefano di 8 anni.

Rogo di Primavalle, rivendicazioni

Il dramma avvenne davanti all’intero quartiere, che accorse in aiuto della famiglia. Videro morire Virgilio appoggiato al davanzale, intento a cercare aiuto per il piccolo Stefano, avvolto dalle fiamme.
Gli attentatori lasciarono sul selciato una rivendicazione della loro azione: “Brigata Tanas – guerra di classe – Morte ai fascisti – la sede del MSI – Mattei e Schiavoncino colpiti dalla giustizia proletaria”.

Nell’aprile del 1973 le indagini, affidate al sostituto procuratore Domenico Sica, si indirizzarono subito verso l’area della sinistra extraparlamentare. In particolare verso gli ambienti di Potere Operaio. Il magistrato ordinò una serie di perquisizioni e di interrogatori. I sospetti ricaddero subìto sui militanti appartenenti alla sedicente Brigata Tanas, un piccolo gruppo semiclandestino d’azione, interno alla stessa organizzazione di Potere Operaio. Il 7 maggio 1973 l’inchiesta giudiziaria viene chiusa. A sole tre settimane dall’attentato. Il giudice istruttore Amato formalizzò le accuse nei confronti di Achille Lollo (che si trovava già in carcere), Marino Clavo e Manlio Grillo (latitanti). L’accusa è, per tutti, di strage.

I processi

Come per ogni strage in quel periodo buio della politica italiana, non si arrivò mai ad una chiara verità. I processi subirono depistaggi, i testimoni non dissero subito la verità. La famiglia Mattei ha sporto denuncia, indicando quali mandanti dell’attentato Lanfranco Pace, Valerio Morucci e Franco Piperno. Fra le dichiarazioni che questi rilasciarono in quell’anno emergono elementi che fanno sembrare molto probabile che essi sapessero molto. E che i depistaggi siano stati voluti. Nonostante questo furono scagionati e tutt’ora ricoprono figure di spicco nell’informazione pubblica.

Il processo riaprì nel 2005, accusando tre nuovi personaggi: Paolo Gaeta, Diana Perrone e Elisabetta Lecco.
Ma dopo innumerevoli risvolti e depistaggi, nel 2013 venne nuovamente archiviato il caso per la morte della Perrone. Forse non si arriverà mai ad una verità e ad una giustizia.

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